STUPIDA RAZZA

martedì 1 febbraio 2022

La politica di bilancio è l’arma giusta contro l’inflazione in Europa

I prossimi negoziati per la revisione delle regole fiscali e di bilancio in Europa saranno inevitabilmente influenzati dall’evoluzione di un’inflazione che sempre meno appare come temporanea, sia negli Stati Uniti sia in Europa, anche se l’aggettivo temporaneo si presta a interpretazioni elastiche. Se andiamo al dibattito pre-pandemico, quando lo spettro era la deflazione, l’uso della leva monetaria da parte della Bce per contrastare la dinamica negativa dei prezzi e riportarla vicino all’obiettivo del 2% si scontrava con politiche di bilancio non accomodanti rispetto all’azione di espansione monetaria. In altri termini, il tema in discussione era il non coordinamento in Europa tra politica monetaria e politica di bilancio, essendo la prima decisa a livello sovranazionale mentre la seconda era, ed è tutt’ora, decisa a livello nazionale, con una occhiuta sorveglianza europea incentrata sul rispetto di regole di contenimento dettate da sfiducia reciproca tra i Paesi membri. Veniva sostanzialmente ignorata l’idea che le politiche di bilancio nazionali dovessero essere coordinate in funzione anche di obiettivi di stabilizzazione e crescita economica dell’Europa nel suo insieme. Il tema è ancora questo. Il vero convitato di pietra nella ridefinizione del Patto di stabilità e crescita è l’assenza di una sufficiente discrezionalità a livello centrale nel coordinamento tra politica monetaria e politica di bilancio. Tutti gli schemi di ingegneria istituzionale in discussione non possono eludere questo nodo, che è prettamente politico e che si ripropone oggi in un contesto in cui questo coordinamento serve a tenere a bada l’inflazione, non la deflazione come in passato, senza scaricare l’onere dell’intervento solo sulla politica monetaria. Il problema, peraltro, si pone ancor prima della definizione delle nuove regole. Abbiamo già sostenuto in queste pagine che è corretta la prudenza con la quale la Bce si appresta a uscire dal programma di acquisto di titoli con il quale ha permesso ai governi europei nel corso della pandemia di indebitarsi a costi sostenibili e di garantire liquidità al sistema produttivo. Tuttavia, abbiamo anche sostenuto che il motivo addotto, quello della temporaneità della fiammata inflazionistica, fosse poco convincente e anche rischioso. Con un’inflazione europea al 5%, non molto inferiore a quella del 7% registrata negli Stati Uniti, la Bce potrebbe presto trovarsi a corto di argomenti di fronte alla svolta della Fed che ha annunciato un prossimo rialzo dei tassi di interesse, qualora questo divario di inflazione dovesse restringersi o permanere sui livelli attuali. Qui rientra il tema del coordinamento tra politica monetaria e di bilancio. L’economista francese Jean Pisani-Ferry ha di recente negato (European Inflation is not American Inflation, Project Syndicate, 27/1/22) che si possa considerare l’inflazione negli Stati Uniti simile a quella in Europa, e non solo per il divario quantitativo sopra richiamato. Sostanzialmente l’inflazione negli Stati Uniti sarebbe peggiore di quella europea perché non dovuta solo a strozzature di offerta, ma anche agli stimoli fiscali molto più forti e generosi. Tra l’altro le strozzature di offerta dovute a carenza di forza lavoro sarebbero più forti negli Stati Uniti proprio a causa degli interventi eccessivi di sostegno diretto alle famiglie in assenza di un sistema più strutturato di welfare. Se ciò è vero, ma lo è solo al netto di spinte inflazionistiche che sono globali e non solo occidentali, la conseguenza è che l’inflazione in Europa va gestita, anche per il prossimo futuro, con un mix di politica monetaria e politiche di bilancio, evitando di strozzare l’economia con un aumento dei tassi di interesse che agirebbe più dal lato di un aumento dei costi che come freno della domanda. Per consentire alla Bce di non seguire la Fed sulla strada della stretta monetaria si dovrebbero, di conseguenza, adottare politiche di bilancio ben mirate in una fase in cui la ripresa attraversa un periodo complesso. La ripresa economica è forte nella maggior parte dei Paesi europei, ma siamo ancora al rimbalzo dopo il crollo del 2020 (la Germania, dove la riduzione del Pil è stata meno forte durante la crisi, oggi cresce meno) e si teme un rallentamento prematuro a causa dei costi determinati dalla crisi energetica ancor prima dell’adozione di una eventuale restrizione monetaria anti inflazione. Anche la politica di bilancio non può quindi virare in Europa troppo rapidamente verso una riduzione degli stimoli fiscali, ma perlomeno dovrebbe guardare alla composizione del bilancio, dal lato sia della spesa sia delle entrate, prestando attenzione al profilo temporale di stimoli di domanda rivolti verso settori che già mostrano difficoltà di adeguamento dal lato dell’offerta. Per essere più espliciti, in Italia non c’è più spazio per distrazioni quali quelle che hanno consentito di portare avanti provvedimenti come il bonus al 110%, che generano stimoli inflazionistici in settori surriscaldati sottraendo, al tempo stesso, risorse pubbliche necessarie per calmierare i costi energetici e rallentare l’avvio di spirali inflazionistiche. Ugualmente sarebbe utile ricontrattare con l’Europa il timing di vari programmi del Pnrr laddove questi si dovessero scontrare con oggettive carenze di offerta nel breve periodo con la conseguenza di alimentare l’aumento dei prezzi. Il controllo dell’inflazione dipende anche dal controllo della composizione della domanda, preferibile all’intervento delle banche centrali che non può essere selettivo. 

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