NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
martedì 1 febbraio 2022
La politica di bilancio è l’arma giusta contro l’inflazione in Europa
I
prossimi negoziati per la revisione delle regole fiscali e di bilancio in
Europa saranno inevitabilmente influenzati dall’evoluzione di
un’inflazione che sempre meno appare come temporanea, sia negli
Stati Uniti sia in Europa, anche se l’aggettivo temporaneo si presta a
interpretazioni elastiche. Se andiamo al dibattito pre-pandemico,
quando lo spettro era la deflazione, l’uso della leva monetaria da parte
della Bce per contrastare la dinamica negativa dei prezzi e riportarla vicino
all’obiettivo del 2% si scontrava con politiche di bilancio non accomodanti
rispetto all’azione di espansione monetaria. In altri termini, il tema in
discussione era il non coordinamento in Europa tra politica monetaria e
politica di bilancio, essendo la prima decisa a livello sovranazionale mentre la
seconda era, ed è tutt’ora, decisa a livello nazionale, con una occhiuta
sorveglianza europea incentrata sul rispetto di regole di contenimento dettate
da sfiducia reciproca tra i Paesi membri. Veniva sostanzialmente ignorata
l’idea che le politiche di bilancio nazionali dovessero essere coordinate in
funzione anche di obiettivi di stabilizzazione e crescita economica dell’Europa
nel suo insieme. Il tema è ancora questo. Il vero convitato di pietra nella
ridefinizione del Patto di stabilità e crescita è l’assenza di una sufficiente
discrezionalità a livello centrale nel coordinamento tra politica monetaria e
politica di bilancio. Tutti gli schemi di ingegneria istituzionale in discussione
non possono eludere questo nodo, che è prettamente politico e che si
ripropone oggi in un contesto in cui questo coordinamento serve a tenere a
bada l’inflazione, non la deflazione come in passato, senza scaricare l’onere
dell’intervento solo sulla politica monetaria. Il problema, peraltro, si pone
ancor prima della definizione delle nuove regole.
Abbiamo già sostenuto in queste pagine che è corretta la prudenza con la quale
la Bce si appresta a uscire dal programma di acquisto di titoli con il quale ha
permesso ai governi europei nel corso della pandemia di indebitarsi a costi
sostenibili e di garantire liquidità al sistema produttivo. Tuttavia, abbiamo
anche sostenuto che il motivo addotto, quello della temporaneità della
fiammata inflazionistica, fosse poco convincente e anche rischioso. Con
un’inflazione europea al 5%, non molto inferiore a quella del 7% registrata negli
Stati Uniti, la Bce potrebbe presto trovarsi a corto di argomenti di fronte alla
svolta della Fed che ha annunciato un prossimo rialzo dei tassi di interesse,
qualora questo divario di inflazione dovesse restringersi o permanere sui
livelli attuali. Qui rientra il tema del coordinamento tra politica monetaria e di
bilancio. L’economista francese Jean Pisani-Ferry ha di recente negato
(European Inflation is not American Inflation, Project Syndicate, 27/1/22) che si
possa considerare l’inflazione negli Stati Uniti simile a quella in Europa, e non
solo per il divario quantitativo sopra richiamato. Sostanzialmente l’inflazione
negli Stati Uniti sarebbe peggiore di quella europea perché non dovuta solo a
strozzature di offerta, ma anche agli stimoli fiscali molto più forti e generosi.
Tra l’altro le strozzature di offerta dovute a carenza di forza lavoro sarebbero
più forti negli Stati Uniti proprio a causa degli interventi eccessivi di sostegno
diretto alle famiglie in assenza di un sistema più strutturato di welfare. Se ciò è
vero, ma lo è solo al netto di spinte inflazionistiche che sono globali e non solo
occidentali, la conseguenza è che l’inflazione in Europa va gestita, anche per il
prossimo futuro, con un mix di politica monetaria e politiche di bilancio,
evitando di strozzare l’economia con un aumento dei tassi di interesse che
agirebbe più dal lato di un aumento dei costi che come freno della domanda.
Per consentire alla Bce di non seguire la Fed sulla strada della stretta monetaria
si dovrebbero, di conseguenza, adottare politiche di bilancio ben mirate in una
fase in cui la ripresa attraversa un periodo complesso. La ripresa economica è
forte nella maggior parte dei Paesi europei, ma siamo ancora al rimbalzo dopo
il crollo del 2020 (la Germania, dove la riduzione del Pil è stata meno forte
durante la crisi, oggi cresce meno) e si teme un rallentamento prematuro a
causa dei costi determinati dalla crisi energetica ancor prima dell’adozione di
una eventuale restrizione monetaria anti inflazione. Anche la politica di
bilancio non può quindi virare in Europa troppo rapidamente verso una
riduzione degli stimoli fiscali, ma perlomeno dovrebbe guardare alla
composizione del bilancio, dal lato sia della spesa sia delle entrate, prestando
attenzione al profilo temporale di stimoli di domanda rivolti verso settori che
già mostrano difficoltà di adeguamento dal lato dell’offerta. Per essere più
espliciti, in Italia non c’è più spazio per distrazioni quali quelle che hanno
consentito di portare avanti provvedimenti come il bonus al 110%, che
generano stimoli inflazionistici in settori surriscaldati sottraendo, al tempo
stesso, risorse pubbliche necessarie per calmierare i costi energetici e
rallentare l’avvio di spirali inflazionistiche. Ugualmente sarebbe utile
ricontrattare con l’Europa il timing di vari programmi del Pnrr laddove questi
si dovessero scontrare con oggettive carenze di offerta nel breve periodo con la
conseguenza di alimentare l’aumento dei prezzi. Il controllo dell’inflazione
dipende anche dal controllo della composizione della domanda, preferibile
all’intervento delle banche centrali che non può essere selettivo.
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