STUPIDA RAZZA

martedì 1 febbraio 2022

Per le Borse un’altra settimana di fuoco

 

I mercati finanziari archiviano un’altra settimana turbolenta. A farne le spese fino a poche ore dalla fine era stata soprattutto Wall Street dove ha pagato ancora dazio il Nasdaq, il più sensibile agli aumenti dei tassi prospettati dalla Federal Reserve. Ma con il balzo del 3,13% in chiusura, (agevolato dal +6,9% di Apple dopo la trimestrale) l’indice tecnologico alla fine ha azzerato le perdite settimanali, restando comunque in passivo da inizio anno del 13% circa. Il peggiore indice statunitense della settimana è stato però il Russell 2000 (-0,9%), quello dove sono quotate le società di media capitalizzazione, il cuore pulsante dell’economia domestica a stelle e strisce. Nell’ultima seduta, più distesa per l’azionario Usa, questo indice è comunque rimbalzato. Restano però le difficoltà degli investitori nel cercare di intercettare lo scenario economico che si prospetta: l’economia sta accelerando o rallentando? Reflazione o stagflazione? Gli ultimi dati macro confermano un quadro grigio: a dicembre negli Usa i redditi sono aumentati di 70,7 miliardi, lo 0,3%, rispetto al mese precedente, contro attese per un +0,4%. Le spese per i consumi sono diminuite dello 0,6%, con il consensus a -0,7%. È stato invece accolto con favore il dato sui salari, cresciuti meno delle attese. Più nel dettaglio, il costo del lavoro - una misura dei salari e dei benefit per i lavoratori (esclusi il personale militare e quello della pubblica amministrazione) - nel quarto trimestre è aumentato dell’1%, meno dell’1,2% previsto dagli esperti, dopo il dato record (+1,3%) del terzo trimestre. Se questo dato sarà un potenziale segnale di picco per l’inflazione (che a dicembre è balzata al 7%) lo si scoprirà nella prima parte di febbraio, quando arriverà l’aggiornamento (a questo punto attesissimo) sull’andamento dei prezzi al consumo. Sui quali rischiano comunque di incidere le continue pressioni rialziste del petrolio, anche ieri in allungo con il Brent marzo a 90,4 dollari al barile e con il Wti marzo a 87,5 dollari al barile. È stata una settimana da montagne russe anche per le Borse europee che hanno chiuso con un calo medio (indice Eurostoxx 50) del 2,19%. Il Ftse Mib di Piazza Affari ha ceduto l’1,83% (ieri -1,18%). La performance da inizio anno è prossima al -3%. Le Borse europee stanno comunque reggendo meglio di Wall Street i colpi dei ribassi e della volatilità di questo primo scorcio del 2022. Anche in funzione della divergenza in corso di politica monetaria (la Fed ha aperto la strada tanto al rialzo dei tassi quanto alla riduzione del bilancio mentre la Bce non sembra ancora orientata in questa direzione e lo scopriremo la prossima settimana quando si riunirà il consiglio direttivo) alcune banche d’affari, tra cui Jp Morgan, consigliano in questa fase di sovrappesare le azioni europee rispetto a quelle statunitensi. Nel frattempo si segnala la forza del biglietto verde con il dollar index (che lo mette in paragone ponderato con un basket di valute internazionali) anche ieri là in alto in area 97 punti, come non accadeva dall’estate del 2020. Il dollaro forte ha penalizzato l’oro, sceso sotto i 1.800 dollari. Il metallo giallo è in rosso del 13% dai massimi dell’agosto del 2020. Non frena però, come visto, la corsa del petrolio che per i Paesi che utilizzano altre divise (europei inclusi) rappresenta a conti fatti un doppio problema: da un lato rende più care tutte le materie prime (perché quotate in dollari) e dall’altro li costringe ad importare una fetta maggiore di inflazione, a causa del sovrapprezzo valutario. Se poi c’è una cosa che non piace agli investitori è vedere la curva dei rendimenti statunitensi continuare ad appiattirsi, conseguenza del fatto che i tassi a due anni stanno salendo più velocemente rispetto a quelli a 10 anni. Ad inizio anno il differenziale era di 82 punti, ieri è arrivato a 62. Se la curva non mente vuol dire che una parte degli investitori ipotizza che la Fed sia ormai “behind the curve”, cioè in ritardo. E che i rialzi dei tassi che si appresta ad applicare a partire da marzo potrebbero sì contrastare in parte l’inflazione, ma al prezzo di frenare la crescita.

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