«Le fonti rinnovabili non risolvono nulla Con il sole e il vento bollette più care»

«Adesso mi aspetto che
qualche anima candida si alzi
e dica che se l’Italia avesse investito di più nelle fonti rinnovabili, ora non sarebbe alla
mercé della Russia e le bollette sarebbero più basse. Ma a
costoro, che forse non hanno
idea di come funzioni il mercato del metano, rispondo che
con le rinnovabili la bolletta
sarebbe ancor più alta. Non
solo il prezzo dell’e l ettr ic i tà
lo farebbe comunque il gas,
ma sull’utente verrebbero scaricati i costi degli incentivi
per costruire altre pale e altri
pannelli». Enrico Mariutti, ricercatore e analista in ambito
energetico e presidente dell’Istituto Alti studi in geopolitica (Isag) spiega cosa sta accadendo: «L’Italia produce il
47% dell’elettricità con il gas e
c’è chi sostiene che se avessimo più rinnovabili oggi pagheremmo meno. Non è così.
La Germania copre solo il 12%
del fabbisogno con le centrali
a gas, ma il prezzo dell’elettri -
cità non si discosta molto da
quello italiano».
Come è possibile?
«Possiamo installare tutte
le rinnovabili che ci pare, ma
senza capacità di accumulo,
senza le batterie, il prezzo
continuano a farlo i fossili.
Nonostante che la Germania
produca quasi il 50% dell’elet -
tricità con fonti rinnovabili e
quasi il 60% della potenza installata sia rinnovabile, pale e
pannelli decidono il prezzo di
mercato solo 872 ore l’anno su
8.760. L’energia rinnovabile
determina il prezzo dell’elet -
tricità solamente quando è
così abbondante da saturare il
mercato. Ma questo accade
quando la domanda è più bassa: nel Nord Europa, l’e o l ic o
funziona bene di notte quando c’è più vento».
Le nostre riserve di gas potrebbero soddisfare il fabbi -
sogno nazionale?
«No. Se sfruttassimo al
massimo i giacimenti, copriremmo poco più di un anno.
Spalmando le riserve su 5-6
anni, si potrebbe ridurre di un
p o’ la dipendenza dal gas russo. Quello che si immagina è
di mitigare il rischio, non di
azzerare le importazioni da
Mosca. C’è chi suggerisce il
raddoppio del Tap, il gasdotto
che viene dall’Arzebai gi an
ma in questa fase è difficile
immaginare progetti di questo genere. Più in generale, il
gas non manca ma vuoi per
ragioni politiche, penso all’Iran, vuoi per ragioni infrastrutturali, penso al Qatar,
non è semplice diversificare il
paniere europeo».
Allora come se ne e s c e?
«Per il momento mettendo
a sistema le riserve nazionali
e potenziando la produzione
di biogas, che è carbon neutral: così potremmo ridurre la
dipendenza dall’estero. Ma
bisogna prendere la questione molto seriamente. La produzione di biogas prevede
una rete diffusa. L’Italia è già
un grosso produttore di biometano, circa 2 miliardi di
metri cubi l’anno, ma la produzione si concentra in poche
regioni. Esportare il modello
Lombardia non è semplice».
E ripartire con lo sfruttamento dei giacimenti?
«Ci vogliono anni anche immaginando tempi rapidi
per le autorizzazioni. In generale è una strategia che ha un
senso ma non nell’ottica di
questa crisi: sarebbe in grado
di ridurre le importazioni del
25% per meno di 10 anni».
Quanto sarebbe il risparm io?
«Bisogna vedere se le normative Ue permettono all’Ita -
lia di fare contratti privilegiati
con l’Eni».
Lo sfruttamento dei giacimenti di gas non vanno in direzione opposta alla transizione ecologica?
«Proprio così. A seguito dei
due choc petroliferi l’Eu ro pa
ha reagito diversificando il
paniere dei fornitori. Prima il
petrolio veniva tutto dal Medio Oriente, poi lo si è andato
cercare altrove. Ora si potrebbe fare lo stesso, ma la transizione ecologica impone un
percorso diverso. In Olanda
una sentenza ha imposto alla
Shell il taglio del 45% delle
emissioni universali rispetto
al 2019 entro il 2030 in ossequio agli accordi sul clima. Se
Shell non riesce a ribaltare
quel giudizio rischia di chiud e re » .
Qu i n d i non conviene cer -
care e sfruttare nuovi giacimenti di gas.
«Persino in Namibia un tribunale ha bloccato le esplorazioni petrolifere. Bisogna poi
considerare che le banche
hanno alzato i tassi dei finanziamenti per le esplorazioni
di giacimenti del gas perché
considerate a rischio di blocco. Gli investimenti sono ai
minimi storici, meno del 50%
di quelli effettuati nel 2014, a
fronte di una domanda di gas
notevolmente più alta. A parte il 2020, la domanda di gas
aumenta tutti gli anni. La
strategia schizofrenica della
transizione ecologica rischia
di paralizzare l’ec on om ia
mondiale. Voglio proprio vedere che cosa farà la Germania dopo che avrà chiuso le
centrali a carbone».
In che misura il gas è fondamentale per produrre energia elettrica?
«In Europa l’elettricità si
produce con le “ve c c h ie” fo nt i
rinnovabili, cioè le centrali
idroelettriche e a biomassa,
che coprono tra il 5 e il 20% del
fabbisogno; con le nuove rinnovabili, ovvero eolico e fotovoltaico, che fanno il 10-20%
del paniere elettrico; poi c’è
un po’di nucleare. Il resto viene tutto dal gas e dal carbone,
che compongono oltre il 50%
del paniere elettrico di tutti
gli Stati europei».
L’Italia è stata pioniere nella conversione dal carbone al
gas ma ora siamo penalizzati.
«Abbiamo le centrali più
moderne ed efficienti. I tedeschi hanno previsto un passaggio dai fossili alle rinnovabili senza step intermedi e
hanno convinto il mondo che
questa è la strada giusta. Così
si moltiplicano i messaggi che
la vera svolta sono l’eolico e il
fotovoltaico. Ma se anche
avessimo installato tanti impianti di rinnovabili, il prezzo
lo farebbe comunque il gas. E
sapete perché? Il sistema
elettrico deve avere una fonte
flessibile al suo interno per
rispondere alla fluttuazione
della domanda. Le rinnovabili non sono modulabili a nostro piacimento ma dipendono dal meteo, dal vento e dal
sole, e devono essere sempre affiancate da una fonte fossile».
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