STUPIDA RAZZA

venerdì 4 febbraio 2022

L’Europa costruisce un ambiente digitale a misura dei diritti umani


N ell’epoca della conoscenza, la vita dei cittadini è liberata, vincolata, guidata, dalle soluzioni digitali. E le prospettive di sviluppo, come le speranze di vincere le grandi sfide dell’emergenza climatica e dell’equità sociale, sono legate all’innovazione digitale. Ma le conseguenze del digitale discendono dai valori di chi ne disegna le forme. Ci sono tanti modi per innovare quanti sono i contesti culturali. L’Unione Europea sta costruendo un contesto unico per il digitale. Una serie di proposte normative della Commissione orientate a riformare, per esempio, le regole dei mercati e dei servizi digitali, dell’intelligenza artificiale e del sistema dei dati, sono accompagnate da significativi investimenti, come quelli destinati alle reti a banda larga, al supercomputing, alle tecnologie quantistiche, ai sistemi di identificazione standard e interoperabili, e molto altro ancora. Ma qual è l’idea di fondo che guida tutto questo? Nòva ne ha parlato con Roberto Viola, direttore generale della DG Connect, la struttura che si occupa di digitale nella Commissione Europea e che risponde al Commissario Thierry Breton. Le sue responsabilità vanno dall'innovazione normativa alla politica di investimenti per lo sviluppo digitale. Il colloquio è avvenuto nel giorno della presentazione della Dichiarazione sui diritti digitali. «Il senso dell'azione della UE è la determinazione di voler costruire un futuro digitale che ponga davvero le persone al centro del progetto: una realtà e non una finzione narrativa», spiega Viola. Nel mondo ci sono ovviamente altre interpretazioni del digitale. Il potere immenso conquistato dalle mega-aziende americane e dallo Stato cinese spinge molti osservatori a sottovalutare le chance europee. Ma un dubbio dovrebbe cogliere quegli osservatori se leggessero il libro di Anu Bradford, giurista finlandese che insegna alla Columbia Law School: “Effetto Bruxelles. Come l’Unione Europea regola il mondo” (Franco Angeli, 2021). Non è soltanto un effetto della grande dimensione del mercato europeo che, in qualche modo, impone agli operatori mondiali di tener conto delle regole dell’Unione per commerciare in Europa. Comincia a essere anche un effetto della profondità di analisi dei regolatori europei che - dal Gdpr alle proposte di regole sulle grandi piattaforme -stanno costruendo un apparato giuridico senza paragoni. Tanto che anche altri sistemi politici, a partire dalla stessa California, considerano e adottano misure analoghe. «I nostri obiettivi di policy vanno perseguiti con misure che tengano il passo con l'evoluzione tecnologica. Abbiamo sviluppato i nostri indicatori per misurare i risultati. E andiamo avanti: come annunciato dalla Presidente della Commissione Europea nelle prossime settimane presenteremo il Chip Act per aumentare la produzione europea di componenti elettronici al 20% del fabbisogno mondiale», spiega Viola. «Ma al di là delle specifiche misure la Commissione Europea ha dato ascolto alle tante voci che chiedevano una carta che definisse che cosa è giusto nel mondo digitale: quale società vogliamo sviluppare. E la Dichiarazione dei diritti nella sua versione finale, firmata dal Parlamento e dal Consiglio, diventerà si spera la fonte di ispirazione per dare una direzione a tutta la policy europea nei prossimi dieci anni». La Dichiarazione parla di un digitale che avvantaggia tutti, di neutralità della rete, di interoperabilità, di regole che favoriscono l’innovazione. Si occupa di educazione tecnologica, di qualità delle condizioni di lavoro nelle piattaforme, di trasparenza degli algoritmi. Viola sottolinea alcuni punti qualificanti: «La dichiarazione ha una forte valenza politica, stabilisce il principio che più le imprese hanno benefici economici dalla rete più devono contribuire a rendere internet fruibile, sicura, accessibile per tutti. Richiede che i dati personali possano essere facilmente spostati tra diversi servizi. Suggerisce che l'ambiente digitale deve proteggere la libertà di scelta dei cittadini. E che il digitale può e deve contribuire alla sostenibilità, a costruire una società inclusiva e più giusta. A ogni diritto enunciato nella dichiarazione corrisponde un preciso impegno normativo e di investimenti. Questo fa la differenza» Altrove si pensa che se una nuova tecnologia funziona meglio della precedente si traduce automaticamente in un miglioramento per gli umani. Gli europei non pensano così. «Ci sono diversi modelli: uno basato sulla supremazia di capitalismo sfrenato, l'altro fondato su un controllo statale altrettanto sfrenato. Il nostro è il percorso più difficile. Una transizione digitale che non lasci indietro i diritti ha tempi più lunghi ma un ritorno migliore per i cittadini» dice Viola. «La nostra proposta è un “contratto sociale digitale” che speriamo avrà valore nel tempo e non sarà soggetta alle stagioni della politica: un idea condivisa della democrazia digitale». Già. Il contratto sociale. Non c’è libertà senza diritti. Non c’è strategia, policy, visione, senza un’immagine di come deve essere fatta una società giusta. Stefano Rodotà, giurista sofisticatissimo e persona di grande cuore, sapeva che tutto questo resta vero anche nell’epoca digitale. E se le parole per dirlo sono scritte dalle istituzioni che contano, possono dare calore a una policy che altrimenti potrebbe apparire razionale ma non coinvolgente. E questa settimana la Commissione europea ha scritto quelle parole.


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