STUPIDA RAZZA

domenica 20 febbraio 2022

Pure l’Atalanta: mezza serie A è «americana»

 

 L’Atalanta diventa (anche) americana. È l’8ª società di Serie A con proprietà Usa. Accordo raggiunto tra i Percassi e un gruppo di investitori capitanati da Stephen Pagliuca (copresidente del fondo Bain capital e comproprietario dei Boston Celtics) per la cessione del 55% delle quote del club a 450 milioni.Come si scrive «pota» in americano? È la prima domanda dissacrante nella Bergamo esterrefatta del giorno dopo, sul Sentierone, alla notizia della Dea venduta a quelli di Boston. La seconda è una considerazione che rende l’idea del pragmatismo orobico: «Un vero imprenditore sa sempre quando uscire da un business». E A nto n io Pe rca s s i sarà anche stato un terzino normale, ma è un vero imprenditore. La terza («Perché?») non la fa nessuno, lo spillone è conficcato nel cuore. Basta un dato a spiegare l’ansia: dal 1907, anno della fondazione del club, tutti i padroni sono stati non solo italiani ma autentici bergamaschi. E adesso il «Tone», diminutivo dell’Antonio presidente, gli ha fatto lo scherz e tt o. 450 MILIONI PER IL 55% Le trattative con gli yankees vanno avanti da agosto nel riserbo più assoluto. La squadra volava, questo solo contava. Un giornalista bergamasco faceva lo spiritoso («gli americani ci hanno confuso con gli... Atalanta Hawks») senza sapere di esserci andato vicino: dietro l’o p e ra - zione c’è la Bain Capital di Stephen Pagliuca, finanziere italoamericano comproprietario dei leggendari Boston Celtics; sempre di basket Nba si tratta. Il closing è stato completato ieri e il passaggio di proprietà è relativamente semplice: 55% al gruppo acquirente, 30% alla famiglia Pe rca s s i e 15% a una galassia di piccoli e medi azionisti. Tutto questo per un contro valore di 450 milioni, il peso finanziario delle azioni messe sul piatto dalla Dea srl, cassaforte sportiva dei Pe rca s s i , lo scrigno che sembrava inespugnabile fino a quando non sono arrivati dollari veri. Sul territorio nessuno sarebbe in grado di sostenere un simile impegno finanziario; forse solo Alberto Bombas sei , ma il patron della Brembo ha un debole (anche professionale) più per la Formula 1 che per il calcio. In pochi anni, questo è il terzo simbolo locale a passare la mano: prima si è arresa Italcementi della famiglia Pe s e n - ti , ceduta ad Heidelberg; poi Ubi Banca inglobata in Intesa San Paolo. E adesso se ne va un pezzo di cuore. La plusvalenza è da record assoluto: nel 2010 Pe rca s s i aveva comprato il club allora in Serie B dalla famiglia Rug ge r i per 14 milioni. Un’operazione di intelligenza sportiva sopraffina, al termine della quale l’imprenditore bergamasco continuerà ad avere il ruolo operativo dell’a m m i n i s trato - re delegato (designato il figlio Luc a) . L’unica consolazione per i romantici è la gestione, in assoluta continuità secondo la regola aurea dei fondi americani: se un business non funziona ma ha prospettive, si cambiano i manager. Se funziona (e l’ultimo bilancio dell’Atalanta ha un attivo di 52 milioni) si blindano le «key persons», gli uomini chiave. A mettere il punto esclamativo sull’affare, ieri è arrivato il comunicato decisivo: «L’Ata - lanta ufficializza la sottoscrizione di un accordo di partnership tra la famiglia Pe r - ca s s i e un gruppo di investitori capitanati dal businessman Stephen Pagliuca, managing partner e co-owner dei Boston Celtics, oltre che co-chairman di Bain Capital, uno dei principali fondi di investimento al mondo». I BUSINESS IN SOFFERENZA Anche al culmine dei successi, delle qualificazioni in Champions, poi della consacrazione europea, il presidente ripeteva il suo mantra: «Se arriva qualcuno più bravo di noi e porta i soldi, porte aperte». Sembrava scaramanzia, era puro realismo. Alla fine il principe a stelle e strisce è arrivato: un finanziere seduto su un fondo con un potere d’acquisto di 160 miliardi. Nato a Brooklyn 67 anni fa, Pa g l iuca ap pa rt ie n e al club degli investitori planetari sullo sport ad alti livelli. È nel comitato esecutivo dei Boston Celtics con Ja m e s Pa l l otta (ex padrone della Roma) e siede al tavolo dei proprietari delle squadre Nba. Il suo fondo d’i nve s t i - mento ha interessi diversificati, dal fast food (con Burger King), alla sanità privata, all’hi tech. È membro del board di Harvard business school ed è stato candidato del partito democratico al Senato. I DEBITI CON LE BANCHE : Fino a due giorni fa sembrava che a comprare il club nerazzurro fossero altri americani, quelli del fondo newyorkese Kkr, con un portafoglio di 400 miliardi e con u n’operazione che avrebbe compreso tutte le attività del gruppo Odissea della famiglia Pe rca s s i . Oltre all’At alanta, imprese di costruzione e vendita immobiliare, le terme di San Pellegrino, centri commerciali (Orio Center), gli Starbucks italiani, Victor i a’s Secret, la Kiko cosmetici, 1100 negozi di vendita al dettaglio. Un business complesso che negli ultimi anni ha sofferto come tutti lo tsunami della pandemia: i debiti con le banche sono oltre i 400 milioni. In controtendenza durante questi anni complicati, la squadra di calcio è diventata il gioiello di famiglia con i numeri più brillanti. Quindi il più appetito. Il destino italiano d’e s s e re colonia finanziaria ormai domina anche nel calcio. Con l’Atalanta ecco il club delle otto sorelle americane, che comprende anche Roma, Milan, Venezia, Fiorentina, Spezia, Genoa e Bologna solo in Serie A. Se si getta lo sguardo all’indietro, in Serie B Parma, Pisa e Spal hanno padroni americani. Sul Sentierone, dove le filosofie scivolano via con lo Spritz, le problematiche di macroeconomia interessano poco. «Abbiamo più stelle della Juventus», scherzano a mezza bocca i tifosi. Il problema è tradurre «Mola mia» e «Adess adoss». Istinti immortali, a trasmetterli ai bostoniani ci penseranno loro.

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