Gli spartiti sventolano come bandiere, le mollette da bucato che avvinghiano i pentagrammi sono sul punto di cedere, ma il Maestro va avanti a suonare indomito. È totalmente immerso nel C o n c e rto di Schumann e non ha tempo di pensare al meteo. Al massimo, durante le pause, tiene ferme le pagine della partitura con abili colpi d’archetto. Mentre l’or - chestrale più vicino intercede per lui un secondo prima che sia tutto il leggio a spiccare il volo. Non siamo sul Titanic ma a Ravello, dove il palcoscenico è una terrazza a strapiombo sul mare e alla scenografia ci pensa direttamente la natura, tra raffiche di vento, arcobaleni improvvisi e banchi di nubi minacciose, pronti a spuntare dalle montagne. La magia di Villa Rufolo, che domina dall’alto la Costiera amalfitana, non è un mistero. Nel 1880 riuscì a stregare persino Richard Wagner, che qui trovò «il giardino incantato di Klingsor» per il suo Pa rsi fal , dopo un drammatico litigio con Friedrich Nietzsche a Sorrento. Questa volta - ed è la prima, a 75 anni - ha rapito Gidon Kremer, gigante lettone del violino (secondo Herbert von Karajan «il più grande al mondo») con un repertorio sterminato (da Astor Piazzolla a Luigi Nono) raccolto in 120 album e una lista di premi difficilmente eguagliabile (due su tutti, il Paganini di Genova nel 1969 e il Ciajkovskij di Mosca nel 1 97 0 ) . Nemico dichiarato della routine e amico delle contraddizioni, Kremer non riesce - o non vuole - trovare pace. Per lui la musica è ricerca continua, che non contempla soddisfazione per ciò che si trova o si raggiunge. La sua carriera, che ha attraversato sul filo dell’equilibrista le tragedie del Novecento, è dominata dall’ansia di restituire, da quando ha realizzato di vivere «la seconda vita» di suo padre - violinista, come il nonno e il bisnonno di Gidon - che vide sterminare la sua famiglia dai nazisti, nel ghetto di Riga. «Quello che dai indietro vive, quello che tieni per te muore», ama ripetere l’artista, che dopo aver studiato con David Oistrakh a Mosca ha sofferto la mancanza di libertà in Unione sovietica, diventando poi un cittadino del mondo - per necessità - in Occidente. «Non sono un politico e fortunatamente non lo sarò mai», confida Kremer alla Ve rità dopo il concerto al Ravello Festival, «ma come uomo non sopporto l’indifferenza davanti alle ingiustizie del mondo. Per questo ho dedicato il bis alle infinite sofferenze del popolo ucraino». Maestro, lei dice spesso che dietro a un’esecuzione ciò che conta non è la tecnica, ma il messaggio che il compositore vuole trasmettere. Qual è quello nascosto dietro alle note del Concerto per violino in la minore, op. 129 di Robert S chu m a n n? «Si tratta di una pagina stupenda, piena di nervi e sangue, che parla d’amore. Nel finale si può sentire chiaramente Schumann che chiama la sua amata Clara. Sono stato molto felice di suonarlo con Christoph Eschenbach - da 40 anni uno dei miei direttori preferiti perché ha la musica dentro - e con l’Orchestra filarmonica della Slovenia. Anche perché con Schumann ho una relazione molto intima. È uno dei compositori più sinceri in ass o luto » . Cosa intende dire? «Non perde mai la spontaneità. A differenza ad esempio di Johannes Brahms, grande architetto del suono, modello assoluto in termini di struttura, eppure, a mio parere, compositore per compositori. Brahms tende a riempire tutti gli spazi vuoti. E il suo punto debole, come mi disse una volta un collega, è la ricerca della perfezione. A differenza di quanto si possa credere, non è sinonimo di bellezza». La vastità del suo repertorio, dai classici ai romantici, fino all’avanguardia, senza disdegnare minimalismo e musica popolare, ha sempre destato curiosità. Sembra che la musica non le basti mai. E in questo caso è andato persino a «rubare» un Concerto che era stato scritto per violoncello... «È lo stesso Schumann a scrivere che la parte per violoncello va benissimo anche per il violino. La differenza tra le due versioni consiste solo in alcuni minimi passaggi. Per questo alle mie orecchie non suona come una trascrizione. Ciò detto, non voglio mettermi in competizione con i violoncellisti e ammetto che l’esecu - zione del C o n c e rto con il loro strumento resta l’ideale. Anche se, sotto sotto, l’idea di soffiare qualcosa dalla letteratura violoncellistica mi diverte. Dopotutto, anche loro hanno attinto a piene mani dalla nos tra …» ( ride). «Il repertorio, invece, è in costante espansione: continuo a scoprire cose nuove e questo processo non deve mai fermarsi se si vuole rimanere autentici. La musica non è un museo delle cere». Nel finale ha eseguito il Re - q uie m di Igor Loboda per non far dimenticare al pubblico che nel cuore dell’Europa è tornata la guerra. Come si sente un musicista come lei davanti a ciò che sta accadendo in Ucraina? «Questa guerra è terribile, brutale e criminale. Vedo che alcuni giornalisti fanno dei paralleli storici con Adolf Hitler che io eviterei. Di certo però, in questo momento, la dignità umana viene negata e calpestata. Per quanto mi riguarda, non posso che stare dalla parte degli invasi, anche se non credo che l’opinione di un musicista interessi a qualcuno. Nascondermi dietro alla bellezza dei suoni però non fa per me. Il mio compito è trasmettere il messaggio della musica. E spero che l’amore di Schumann l’altra sera abbia generato come minimo empatia e umanità. Nessuno può pensare che ciò che sta accadendo non riguardi ciascuno di noi». Lei nel 1997 ha fondato la Kremerata Baltica, un’orche - stra da camera capace di unire i giovani musicisti di Lettonia, Estonia e Lituania. Crede ancora che la musica possa aiutare il dialogo? «Può sicuramente costruire ponti laddove sembra impossibile. In quegli anni ho sentito che non dovevo limitarmi a cercare gli applausi, ma piantare un seme. Questa formazione piena di giovani talentuosi è il mio piccolo alb e ro » . Oggi però sembra difficile veder suonare insieme musicisti ucraini e russi. Anzi, questi ultimi, soprattutto i meno famosi, sono stati costretti a cancellare molte date a causa del loro passaporto… «Escludere musicisti, scrittori e sportivi in base al sangue è sempre sbagliato. È razzismo. Lo dico io che non sono russo e non mi considero più un rappresentante della vecchia scuola sovietica. Anche se sarò sempre grato a Oistrakh e mi sento vicino alla cultura e alla mentalità russa. Questo tipo di esclusioni non sono motivate da ragioni nobili, ma da interessi di basso livello. Un altro discorso è la reazione degli ucraini - comprensibile, ma credo anche temporanea - che in questo momento rifiutano tutto ciò che è russo». La sua famiglia ha sofferto sotto il nazismo e lei ha visto da vicino il comunismo. Cos’ha imparato sulla libertà? «I regimi totalitari sono terribili. E quando un politico decide cosa sei autorizzato a dire o a pensare è la fine. Non illudiamoci però, perché anche l’Occidente non è esente da tentazioni totalitarie e la libertà non va mai data per scontata. Da questa parte del mondo regna il totalitarismo commerciale, che coinvolge anche la cultura. Se l’unico problema è vendere, la superficialità domina. Ma la musica esiste per essere servita e non per il proprio tornaconto».
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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