STUPIDA RAZZA

lunedì 18 luglio 2022

Dopo 30 anni col banchiere Italia malata

 

Mario Draghi è stato dal 1991 al 2004 direttore generale del Tesoro, dal 2005 al 2011 Governatore della Banca d’Ita l i a , dal 2011 al 2019 presidente Bce e poi premier. Eppure l’Ita l i a resta malata cronica.Ricorderanno i meno giovani quello spot in cui gatto Silvestro (i mercati? I partiti? Forse gli elettori stessi?) insegue il canarino Titti (i conti dello Stato) che si rifugia su un barattolo di pelati; il gattaccio nero dice allora: «oh no su De Rica non si può!» Ecco M a rio D ra g h i , anche ora che è periclitante tra Palazzo Chigi e lo studio alla vetrata del Quirinale, viene presentato come quel barattolo anche se i pelati sono gli italiani che non hanno riposte: né per proteggersi dall’i n f l azione, né sul lavoro, né sull’energia, né tantomeno sulle tasse prossime venture. LA MANINA C’ERA GIÀ Non si è letto da nessuna parte il dubbio, legittimo, che se l’Italia sta messa come sta messa forse anche Mario Draghi ha avuto una sua parte. Insomma si tende a rappresentare l’ex banchiere centrale europeo come un supertecnico reclutato da Sergio Mattarella a ll’ultimo minuto per risolvere due emergenze: il Covid e il Pnrr. Si è aggiunta, tragicamente, l’emergenza dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma si sa bene che il governo di larghe intese nasce come un esecutivo di scopo. È forse questo che impedisce di riannodare i fili della memoria? E allora conviene rimetterli insieme. Mario Draghi è stato dal 1991 al 2004 direttore generale del ministero del Tesoro, dal 2005 al 2011 Governatore della Banca d’Italia, dal 2011 al 2019 è stato presidente della Banca Centrale Europea. A parte la parentesi di circa un anno al servizio della Goldman Sachs come vicepresidente esecutivo, si può dire che ha avuto in mano l’economia italiana direttamente per 20 anni, prima determinando le politiche d’indirizzo e poi quelle di controllo e del credito, e successivamente ha interferito con l’economia nazionale per altri 8 anni al punto di decidere lo sfratto dell’ultimo governo espressione della maggioranza degli elettori quello di S i lv io B e rlu s c o n i mandato a casa nel 2011. CONVERTITO ALL’EURO A occuparsi dei destini futuri del Paese in rapporto all’Europa Mario Draghi ha cominciato da studente. La sua tesi di laurea discussa alla Sapienza con relatore Federico Caffè – l’e c o n o m ista geniale svanito nel nulla il 15 aprile del 1987 – è di fatto una confutazione delle teorie di Pierre Werner, il premier lussemburghese che nel ’70 ipotizzò un’u n ione monetaria europea. Non se ne fece di nulla perché troppo evidenti erano le disparità. Partorì quella stagione lo Sme, il sistema monetario europeo che sarà prodromico all’Euro. Quando Draghi si sia convertito alla moneta unica non è dato sapere; una cosa è certa chi continua a pensare che sia un campione dell’e c o n omia liberale sbaglia: ha studiato dai gesuiti ed è di formazione keynesiana. I soggiorni in America lo hanno conquistato semmai alla globalizzazione. Debutta sulla scena pubblica nel 1991 come direttore generale del Tesoro chiamato dall’allora ministro e già Governatore di Banca d’Italia Gu ido Carli. IL CAMBIAMENTO Il disegno era chiaro: portare l’Italia a qualsiasi costo nella moneta unica. Si è più volte scritto che salì il 2 giugno di 30 anni fa a bordo del Britannia per annunciare la svendita dell’Italia. Rileggendo cosa disse allora c’è da domandarsi se il Draghi di oggi gli somigli. Giusto qualche esempio. Ha revocato le concessioni autostradali a To to, ha ripreso le autostrade dai B e n etto n pa - gando parecchi quattrini, sta pensando di rinazionalizzare P i rol o, la raffineria siciliana in mano ai russi, il Monte dei Paschi – e vedremo che Draghi qualcosa c’entra – continua a costare al contribuente italiano miliardi su miliardi, Eni ed Enel restano sotto controllo pubblico e c’è un sottile gioco delle tre carte tra tassazione di extraprofitti e cedole che lo Stato incassa, I ta per ora resta in braccio allo Stato, la Rai è sempre lì e gli esempi sono ancora tanti. In più Mario Draghi vuole fare le nomine di queste partecipate e si dice che faccia dimettere tutti per evitare che le scelte le faccia il prossimo governo. Quando si dice privatizzare per liberare dalla politica. Ma quel due giugno davanti alla finanza mondiale asseriva: «Gli incassi delle privatizzazioni dovrebbero andare alla riduzione del debito, non alla riduzione del deficit». Non solo faceva professione assoluta nei mercati e in più affermava che privatizzare significava sottrarre le aziende dal controllo politico e consentiva di alleggerire la pressione fiscale. Giusto per memoria il ’92 finì con lo scippo notturno dai conti correnti degli italiani operato dal governo di G iuliano Amato. NUMERI IMPIETOSI Vediamo un po’ di numeri. L’indebitamento dell’Ita l i a nel ’90 era il 91% del Pil quando Draghi lascia il Tesoro è pari al 108% del Pil. La pressione fiscale che Draghi eredita al 38,2% arriva al 42,7% nel ’93 al 42,3 nel 1998 e quando Draghi esce dal Tesoro è al 39, 9%. Nel 1991 il reddito italiano medio (in dollari per avere un confronto omogeneo) era 21.950 dollari, dopo la cura Draghi scende nel 2000 a meno di 20mila dollari salvo poi risalire. Ma sappiamo che dall’entrata in vigore dell’euro a oggi gli italiani hanno perso oltre il 3% di reddito, unici in tutta Europa. In termini assoluti Draghi assume il ministero del Tesoro con un debito pari a 850 miliardi di euro e esce lasciando 1449 miliardi. Ma nel frattempo ha realizzato 100 miliardi dalle privatizzazioni. Se si prendono i dati del Pil, c’è di che stare ancor meno allegri; solo tre anni buoni: il ’94 (più 2,2) il ’95 (2,9) il 2000 (3,7), il resto è zero virgola e segnatamente dall’entrata in vigore dell’euro. E veniamo al Draghi governatore di Banca d’Ita - lia. Sotto la sua gestione a tacer d’altro si materializzano il buco di M o nte pa s ch i quello della Popolare di Vic e n za , il caso Delta. A conti fatti al contribuente italiano sono costati oltre 20 miliardi. Si dirà non è responsabilità diretta del governatore di Bankitalia. Vero, ma fino a un certo punto. Se i tribunali hanno accertato per la Popolare di Vicenza le colpe di Gianni Zonin, per Mps nessun colpevole. E allora? E poi c’è stato il Draghi presidente della Bce, l’uo m o che con il whatever it takes ha salvato l’Euro (e l’Italia si dice). Peccato che abbia inaugurato la stagione dello stampare moneta senza un domani e che oggi ci regala l’inflazione che ci succhia il sangue. Ma c’è un aspetto del Draghi Bce che interessa. E’ la famosa lettera del 5 agosto 2011. Viene da chiedersi, ma delle indicazioni date a Berlusconi-Tremonti quante ne ha seguite il presidente del Consiglio? A esempio dov’è la clausola di riduzione automatica del deficit nei conti di Da n iel e Fra n c o? WHATEVER IT TAKES E ora che si discute tanto di salario minimo che piace al premier come suona quel passaggio in cui si dice: «C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione». Forse Mario Draghi sta ripensando al maestro del suo consigliere economico Franco Giavazzi, il professor Rudi Dornbusch che per aver previsto l’attac - co alla lira nel ’92 non fu mai più invitato in Italia, ma che nel ’96 scriveva: «La critica più seria all’unione monetaria europea è che abolendo gli aggiustamenti del tasso di cambio trasferisce al mercato del lavoro il compito di adeguare la competitività e i prezzi relativi. Per questa via diventeranno preponderanti recessione, disoccupazione (e pressioni sulla Bce affinché inflazioni l’economia)». Ah, giusto perché si sappia lo spread sta a 222: whatever it takes !

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