Sulla scia della norma che permette a Venezia di limitare gli affitti brevi, i sindaci dem di Firenze e Bologna si alleano per promuovere una legge che imponga restrizioni in tutta Italia. Ennesimo attacco della sinistra alla proprietà privata.
In Italia essere buoni profeti è facile: in genere, è sufficiente s co m m ettere su ll’ipotesi peggiore e si hanno ottime chance di non sbagliare pronostico. Un paio di settimane fa, su queste colonne, avevamo duramente criticato l’ap provazione dell’emendamento (tutti favorevoli, Pd in testa, inclusi a sorpresa Fi e Lega, tranne i rappresentanti - dentro la maggioranza - di Iv e Nci, e - all’opposizione - di Fdi), riferito alla città di Venezia, che consentiva al comune di «integrare i propri strumenti urbanistici […] per individuare […] i limiti massimi e i presupposti per la destinazione degli immobili residenziali ad attività di locazione breve». In sostanza, con una norma assai discutibile dal punto di vista costituzionale, si limitava un diritto teoricamente sacro (il diritto di proprietà), permettendo a un Comune di amputare la possibilità del proprietario di trarre profitto dal suo bene, nella fattispecie circoscrivendo la fattibilità delle locazioni turistiche brevi. Intendiamoci: questa previsione normativa resta indifendibile, e conferma la propensione di certa politica a trattare la casa degli italiani o come un bancomat (tassandola) o come un oggetto da vincolare e semiespropriare. E tuttavia, a essere benevoli, si poteva comprendere l’argomen - to legato alla particolare fragilità, alla delicatezza del contesto veneziano, rispetto all’im - patto a volte troppo robusto - sostengono taluni - del turismo di massa. Ma proprio qui scattava la facile profezia della Ve rità: da subito, infatti, avevamo visto in quel microemendamento, apparentemente cucito su misura solo per la realtà veneziana, una sorta di cavallo di Troia, un primo passo nella direzione sbagliata, inevitabilmente destinato a essere clonato-replicato-ripetuto in diverse altre città d’arte prima e a livello nazionale poi. E infatti, in quei giorni, il sindaco di Firenze Dario Nard el l a , uno dei più scatenati attivisti contro le locazioni brevi, si era lanciato in una vera e propria campagna che vuole arrivare alla presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare con una raccolta di firme sostenuta anche dal primo cittadino di Bologna Matteo Lepore grazie alla firma di un protocollo d’i nte s a fra le due città. Non solo. Diverse settimane prima, la regione Lazio aveva approvato una legge regionale (il 24 maggio) per assegnare un potere speciale di controllo a Roma Capitale sempre sulla gestione dei affitti turistici. E contro questa leggina regionale si è espressa l’Autorità per la concorrenza e il mercato (l’Antitrust), secondo cui la norma laziale sarebbe in contrasto con i principi sia nazionali sia comunitari in materia di concorrenza . Secondo questa leggina regionale, infatti, infarcita di notazioni arbitrarie di pura impronta politicamente corretta (nel testo si evocano nientemeno che «la sostenibilità ambientale, infrastrutturale, logistica» e ancora la «mobilità e vivibilità necessaria alla fruizione dei luoghi da parte della collettività»), si attribuisce a Roma Capitale il potere di fissare «criteri specifici […] per lo svolgimento di attività di natura non imprenditoriale di locazione di immobili ad uso residenziale per fini turistici, nel rispetto dei principi di stretta necessità, proporzionalità e non discriminazione». E con il tocco finale della «non discriminazione» il lettore comprende bene il tasso di ideologia e insieme di confusione mentale del legislatore regionale del Lazio. Dunque, bene ha fatto l’An - titrust a bacchettare il Lazio, sostenendo che la norma «costituisce non solo un’ingiusti - ficata restrizione della libertà di iniziativa economica, ma rappresenta altresì una discriminazione nei confronti sia delle attività ricettive svolte in forma imprenditoriale, sia delle altre attività ricettive svolte in forma non imprenditoriale […] quali le attività di casa vacanza e di bed and breakfast». Morale: lesione della concorrenza. E qui si torna a Firenze. Avendo letto il pronunciamento dell’A nt itrust, Federico Bu s s ol i n , capogruppo della Lega a Palazzo Vecchio, ha preannunciato un question time: «Le argomentazioni ( d ell ’Antitrust, ndr)», ha detto l’esponente leghista, «sono tali da interessare anche le disposizioni inserite nel del Aiuti. Questa bocciatura riguarda anche Na rd el l a che da mesi punta il dito contro i fiorentini e gli affitti brevi, discriminandoli rispetto alle altre attività economico turistiche». L’iniziativa del consigliere leghista è sacrosanta in termini di principio, perché ricorda come un bene (nello specifico, una casa) non appartenga né allo Stato né al Ccomune: appartiene invece a un singolo proprietario, peraltro stangato da una tassazione immobiliare devastante. Ma è a maggior ragione giusta dal punto di vista politico, considerando che altri esponenti leghisti (il parlamentare veneto Alex Bazzaro, così come il ministro del Turismo Massimo Garavaglia) avevano correttamente messo in guardia contro i pericoli dell’emendamento, che tuttavia i parlamentari di Lega e Fi, invocando esigenze di mediazione politica, avevano comunque approvato. Prevedibilmente quanto giustamente, era insorta Confedilizia, che attraverso il suo presidente Giorgio Spaziani Te s ta aveva contestato la costituzionalità della norma definendola «liberticida», e aveva sottolineato come l’u n ic o effetto concreto sarebbe stato e sarà quello di incentivare le locazioni brevi in nero. Per parte nostra, continuiamo a sostenere una soluzione di puro pragmatismo liberale. Se il legislatore vuole stimolare le locazioni lunghe, allora detassi quelle, anziché impedire o limitare quelle brevi. E invece siamo purtroppo alle solite: dinanzi a due opzioni, anziché incentivare quella che lo stato dice di voler favorire, si continua a colpire selvaggiamente l’a l tra .
Nessun commento:
Posta un commento