N etta prevalenza di mercati esteri che si chiudono, rispetto a quelli che si aprono, quote export perse a favore dell’import, prodotti di punta che scompaiono dagli scaffali internazionali, come le pere, colpite da un drastico calo di produzione. Stretta tra rincari delle materie prime ed eventi climatici estremi, l’ortofrutta comincia a risentire dell’onda lunga della crisi internazionale. Intanto salgono a tre miliardi i danni provocati dalla siccità: Coldiretti stima al 15% le perdite di prodotti causate dell'eccezionale ondata di calore, ma a preoccupare sono anche le grandinate al Nord, che si abbattono sui raccolti. Dopo un 2021 di esportazioni record (5,2 miliardi di euro in valore) ed un saldo della bilancia commerciale di 1,076 miliardi di euro (+62,1% sul 2020 e pari a tre volte quello registrato nel 2019), nel primo trimestre 2022 i volumi perdono il 9,5%, mentre i valori sono del 3,6% inferiori a quelli registrati nel primo trimestre 2021 (elaborazioni Fruitimprese su dati Istat). Il trend coinvolge tutti i comparti, con particolare riferimento alla frutta fresca ed agli agrumi, che vedono ridurre le esportazioni di oltre il 10% in quantità e di oltre il 6% in valore. Il saldo commerciale - che sulle quantità registra un calo record del 102, 3% - ci dice chiaramente che non c’è prodotto che non abbia valori dell’import in crescita: una significativa inversione di tendenza quindi, che oltre a confermare il nostro Paese tra i principali consumatori di ortofrutta, racconta chiaramente di una perdita di competitività a favore di competitor esteri che diventano sempre più aggressivi. «Dal 2008 a oggi l’Italia ha perso 203 milioni di euro di export di pesche e nettarine, la Spagna ha guadagnato 373 milioni», racconta il presidente di Fruitimprese, Marco Salvi. «Se guardiamo alle fragole, le esportazioni dell’Italia sono rimaste costanti, la Spagna ha guadagnato 426 milioni di euro e la Grecia è passata da 9 a 110 milioni di export». La chiusura del mercato russoucraino sta producendo un surplus in Europa, che rende alcune filiere meno competitive e favorisce lo switch verso colture più remunerative; fenomeno che unito alle deroghe sul regime set aside e all’abbandono in atto già da anni di colture tradizionali, sta contribuendo a ridisegnare la fisionomia produttiva del comparto. «Negli ultimi anni stiamo assistendo a un abbattimento di colture tradizionali, emblema del made in Italy, come le pere, che fino a poco tempo fa rappresentavano l’eccellenza della nostra produzione» spiega Davide Vernocchi, coordinatore ortofrutta per Alleanza Cooperative Agroalimentari. «Altre coltivazioni tradizionali, come le leguminose, o il mais dolce subiscono la competizione delle coltivazioni cerealicole, divenute più appetibili dal punto di vista della remuneratività, a causa del conflitto russoucraino: queste colture estensive hanno preso il sopravvento», conclude. Ma Luigi Peviani, ad di Peviani, dal palco della 73esima assemblea di Fruitimprese enfatizza un problema ancora più marcato: ovvero la disaffezione dell’agricoltore, che si allontana dal mondo ortofrutticolo, a favore di produzioni agricole industriali. Il rincaro dei costi si fa sentire naturalmente anche sui consumi, che perdono quote. «Il comparto ortofrutticolo sta vivendo da inizio anno una inflazione all’acquisto del 10% , le vendite hanno avuto una curva di contrazione molto allarmante a inizio anno del 10% e adesso veleggiamo sopra il -5%. Quello che stiamo registrando è che ad ogni due punti di incremento inflazione all’acquisto, perdiamo un punto di quota di vendite a volume» commenta Germano Fabiani, responsabile frutta Coop. La siccità ha acuito questa problematica, tanto che Italmercati, la rete che unisce i Mercati all’Ingrosso, ha lanciato un allarme, sostenendo che dal 15 luglio sarà difficoltoso trovare ortaggi nei supermercati a causa dell’attuale crisi idrica che sta mettendo in ginocchio le coltivazioni del nostro Paese. Per tutti parla Giulio Romagnoli, ad di Romagnoli, azienda specializzata nella produzione di patate: «Tempo non ce n’è. Chiedo al Governo e alla filiera tutta, di indicare soluzioni che portino all’efficienza: ma abbiamo bisogno di risposte rapide».
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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