STUPIDA RAZZA

martedì 5 luglio 2022

Taxi del mare iperattivi Sbarchi a quota 27.000

 

I taxi del mare hanno ricominciato a solcare il Mediterraneo per recuperare migranti e portarli in Italia. Mentre la Lamorgese incolpa l’Ue di lasciarci soli, in 6 mesi ne sono approdati oltre 27.000.Al momento in mare ci sono la Ocean Viking e la Geo Barents. La prima con 228 passeggeri, la seconda con 65, parte di un carico che è finito disperso in mare. Si sono autoproclamate «fondamentali» per salvare vite umane. L’ultima settimana, però, ha messo in crisi questo concetto: lunedì 27 giugno nel naufragio a largo di Malta sono decedute almeno 30 persone, fra loro cinque donne e otto bambini; altre cinque vittime nella notte di mercoledì sono state trovate dalla Guardia nazionale tunisina. E c’è una barca fantasma partita dalla Tunisia con destinazione Lampedusa mai arrivata a destinazione. Perché a più partenze corrispondono sempre più morti in mare. Il fallimento della missione ha quindi trasformato definitivamente le Organizzazioni non governative in taxi del mare, che stazionano davanti alle coste della Libia e della Tunisia in attesa di un Sos partito da qualche barcone spesso messo in mare da scafisti trafficanti di esseri umani. TRAFFICO INTENSO E proprio la funzione di taxi del mare si è intensificata: negli ultimi dieci giorni le Ong hanno traghettato sulle coste italiane 1.034 passeggeri. I casi più noti: i 59 migranti trasporti dalla Louise Michel, sovvenzionata dal noto graffitaro B a ns ky, a Lampedusa; Nadir di Resqship sempre a Lampedusa ne ha scaricati altri 19; Sea watch 4 ne ha fatti sbarcare 303 a Porto Empedocle (Agrigento); la Sea eye 4 è approdata a Messina con 476 passeggeri; Aita mari si è presentata ad Augusta con 112. Rispetto allo scorso anno c’è una notevole differenza: fino al 25 giugno 2021, la nave della Ong spagnola Open Arms è stata bloccata a Pozzallo per un provvedimento amministrativo. Inoltre nel porto di Buriana (Spagna) erano ferme la Sea-Eye 4, la Sea Watch 4, la Sea Watch 3 e la Alan Kurdi. Di fatto buona parte dei taxi del mare era fuori uso. Nonostante la situazione sbarchi sia da tempo fuori controllo, le principali Ong che operano nel Mediterraneo hanno recentemente scritto una lettera al ministro dell’Interno Luc i a n a Lam o rge s e. Dallo stile e dalle parole utilizzate, l’obiett ivo finale è apparso evidente fin da subito. Per i teorici dell’accoglienza a ogni costo serve un ripensamento delle regole d’ingresso in Europa. Va da sé che le modifiche dovrebbero eliminare ogni norma che intralci l’immi grazione incontrollata. «I Paesi europei e l’Italia», scrivono Medici senza frontiere, Emergency, Sea watch, Open Arms, Mediterranea saving humans, ResQ-people saving people, Sos mediterranée e Alarm phone, «devono ritornare a degli standard decenti di tutela della vita umana, nel rispetto dei propri principi fondanti». Tradotto: niente attese per ottenere un porto di sbarco. La narrazione ideologica di Carol a R ackete e compagni è la solita: «Azioni urgenti» perché «il salvataggio in mare è un obbligo degli Stati. Oltre che un dovere morale». I taxi del mare, inoltre, puntano il dito contro la Guardia costiera libica, denunciando «l’illegittimità giuridica delle intercettazioni e dei respingimenti». In maniera ancora più netta, a loro (insindacabile) giudizio bisogna togliere qualsiasi tipo di «sostegno alle autorità libiche». Quello per la Libia e il suo mare sembra un vero e proprio cruccio. Senza dubbio tra le concause scatenanti il caos migratorio degli ultimi mesi rientrano siccità e carestia (dovuta alla mancanza di grano ucraino) che stanno spingendo decine di migliaia di africani a lasciare in massa i loro Paesi di origine. In un contesto logico e privo di pregiudizi, la situazione internazionale dovrebbe suggerire allo spirito critico dei responsabili dei taxi del mare di spingersi anche verso Est. Facendo rotta sul Mar Nero per dare una mano ai profughi ucraini in fuga da Odessa e dal Mare d’A zov. Ma questo cambio di prospettiva al momento pare proprio non essere contemplato. Anche perché quasi sempre dopo le operazioni al largo e nei momenti di pausa tra un film (come quello su Open Arms mandato in onda nei cinema a febbraio) e una raccolta fondi, le imbarcazioni delle Ong continuano a trovare riparo e un porto sicuro in Italia. S CA R I CA BA R I L E Ovviamente il racconto di L a m o rge s e tende a tirare dentro l’Europa: «La risposta all’immigrazione irregolare non può prescindere da una concertata azione europea». Al Viminale, nonostante i fallimenti del Patto di Dublino, sembrerebbe che continuino a fare affidamento sull’Unione Europea: «È stato approvato un pacchetto attuativo della prima fase de ll ’approccio graduale in materia di immigrazione e asilo». E ancora: «Un meccanismo di solidarietà per aiutare gli Stati membri di primo ingresso e due regolamenti per rafforzare la protezione delle frontiere esterne dell’Unione europea». Ma è inevitabile che più di qualche perplessità sulla reale capacità, o meglio volontà di ricollocamento in ambito europeo, resti. Anche alla luce del recente passato, in cui l’Italia si è trovata da sola a fronteggiare l’e m e rge n za . Con numeri di queste proporzioni: all’1 luglio 27.633 sbarcati, contro i 20.855 dello stesso periodo del 2021 e i 7.202 del 2020. Anche le località di provenienza non lasciano dubbi sulla tipologia di sbarcati: 4.120 dal Bangladesh, 3.935 dall’Egitto, 2.757 dalla Tunisia. Si tratta quindi di immigrati economici e non di potenziali richiedenti a s i l o.

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