STUPIDA RAZZA

martedì 18 gennaio 2022

Alla scoperta del lato umanistico dell’incoscienza digitale

«Dopo aver giocato a scacchi con le macchine, aver perso e aver parlato della sconfitta anche troppo, ora sono maturi i tempi di studiarle con nuove prospettive, focalizzandoci su come decidiamo insieme alle macchine». È l’invito di Massimo Chiriatti in “Incoscienza artificiale”. Un invito che implica un cambio di paradigma: studiare l’intelligenza artificiale come un sistema ampio che comprende l’aspetto umano, quello ambientale e le macchine. In secondo luogo che questo approccio deve essere profondamente umanistico. Il fine è chiarire quali siano le nuove frontiere tecnologiche, ma soprattutto come esse siano sfide culturali. Solo così possiamo capire Neuralink, l’azienda di Musk che si prepara a creare “gemelli digitali” dei neuroni umani creando così un ponte tra cervello e computer. Molti libri sono usciti ultimamente sulla questione dell’Ia - tra i più recenti “Cervelli a confronto” di Paul Thagard e “Atlas of AI” di Kate Crawford -, Chiriatti sceglie una via personale di non distinguere tra un aspetto tecnologico, che sovraintende la costruzione del dispositivo, e una umanistica, che ne studia gli impatti, bensì di attraversare entrambe le fasi assecondando uno sguardo di umanista digitale. In questo modo può descrivere Ibm Debater non solo come una macchina con delle funzioni, ma come un enorme dispositivo frutto di un pensiero umano in grado di partecipare a dibattiti, un po’ come il computer intelligente immaginato dallo scrittore polacco Stanislaw Lem e chiamato Golem XIV che dà sfoggio delle sue potenzialità tenendo pubblici discorsi che mettono in evidenza un’intelligenza “altra”, non riconducibile a quella umana, sicuramente non cosciente. Solo tenendo presente la profonda compenetrazione di bios e techne possiamo avventurarci in quella “scatola nera” che è il luogo della elaborazione dei dati e che spesso rimane oscura per precise scelte industriali. Il punto è che, nonostante le suggestioni letterarie che includono anche lo straordinario “Il grande ritratto” di Dino Buzzati, una coscienza non è data nelle Ia, anzi è proprio l’incoscienza a caratterizzarle. La sfida metodologica allora è duplice: da una parte Chiriatti invoca un nuovo approccio teoretico per «avviare un nuovo filone di ricerca con una nuova figura, l’etologo digitale, che studi scientificamente il comportamento, lo sviluppo e le capacità» della Ia, ampliando quindi il raggio di studio all’ambiente, gli agenti, i player, gli usi e gli impatti. Dall’altra immaginarla come un Sistema O, in riferimento alle categorie sviluppate da Daniel Kahneman per descrivere i processi cognitivi. Se il Sistema 1 funziona senza bisogno di controllo volontario, risponde a sollecitazioni semplici e mai complesse, e il Sistema 2 svolge invece attività più impegnative che abbisognano di approfondimenti cognitivi, il Sistema 0 è il software intermediario tra noi e la realtà e che è appunto caratterizzato da una “incoscienza artificiale”. L’Ia ci aiuta a raccogliere dati e, secondo le nostre indicazioni, li elabora con crescente autonomia e infine li propone alla nostra coscienza secondo un processo quanto meno “umanistico”. Bisogna ricordarsi dell’ammonimento per cui «gli algoritmi non hanno né opinioni né etica», quando ci serviamo di Compas, sistema nato per supportare i giudici nelle loro delicate decisioni. Per supportare e non per sostituire il giudizio, applicando la logica e sottoponendo il risultato all’umana coscienza.

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