STUPIDA RAZZA

venerdì 4 febbraio 2022

Corte costituzionale, Amato eletto nuovo presidente

 

Le sentenze della Consulta? «Massima attenzione alle loro ricadute sulla finanza pubblica». L’elezione diretta del Capo dello Stato? «Servirebbe un cambio di sistema». Il gender gap? «Noi maschi abbiamo di che vergognarci». E poi in chiusura di una lunga e ampia conferenza stampa Giuliano Amato, eletto ieri all’unanimità presidente della Corte costituzionale, si lascia un po’ andare «sembrava ieri che giuravo da giudice della Corte e sono già quasi passati 9 anni. Il nostro è un lavoro impegnativo ma bellissimo». Del resto, per Amato, che resterà in carica sino a settembre e come primo atto ha nominato vicepresidenti le giudici Silvana Sciarra e Daria de Pretis e il giudice Nicolò Zanon, quello di presidente della Consulta è (forse) solo l’ultimo incarico pubblico di grande prestigio che è chiamato a ricoprire, nei giorni oltretutto in cui il suo nome era tornato ricorrente tra i candidati alla carica di Presidente della Repubblica. Amato, infatti, nato a Torino il 13 maggio 1938, è stato nominato giudice costituzionale dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 12 settembre 2013. È professore emerito alla Sapienza di Roma, docente di Diritto costituzionale comparato, parlamentare per 18 anni, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ministro dell’Interno, due volte ministro del Tesoro e due volte Presidente del Consiglio, ministro delle Riforme istituzionali, ha guidato dal 1994 al 1997 l’Antitrust. Nell’ora e mezza di confronto con i giornalisti Amato si è soffermato su numerosi temi, spesso celiando nel chiarire che in alcune risposte parlava più il consulente giuridico che il neopresidente. Nelle prime battute Amato ha voluto sottolineare l’analogia tra i conflitti giuridici che emergono in sede europea e quanto avviene da noi: «le materie più conflittuali oggi riguardano i valori: il gender, la famiglia, la sicurezza, la libertà. Temi assai impegnativi, sui quali una lettura attenta della Costituzione segnala molto spesso che l’esistente così com’è non funziona, ma rispetto ai quali nel tempo è cambiato anche l’atteggiamento della Corte». E qui Amato ricorda che se in passato la Corte lasciava un vuoto normativo, affidando poi al legislatore l’intervento, poi ci sono state, dove possibile, le sentenze additive e ora sempre più frequentemente i giudici indicano anche la soluzione da adottare. Ma poi l’intervento risolutore, ha concluso Amato, resta quello del Parlamento, dall’ergastolo ostativo (a breve scadrà il tempo concesso dalla Corte), al suicidio assistito, al carcere per la diffamazione, «perché la collaborazione tra istituzioni è essenziale». E sul tema del giorno, l’elezione del capo dello Stato, Amato sulle sollecitazioni a un’elezione diretta, dopo la prova non brillantissima data dal Parlamento, avverte che «i sistemi costituzionali sono come orologi. Non si può pensare di toccarne solo una parte senza avere presente l’intero meccanismo. L’elezione diretta ha certo il vantaggio che avviene in un solo giorno, ma non si può trasferire da sola nel nostro sistema». E sul modello, il neopresidente confessa una preferenza per quello francese. A proposito di consapevolezza da parte della Corte delle ricadute sul sistema economico e, in particolare,sulla finanza pubblica di alcune decisioni, Amato osserva che queste non sono certo prese “al buio”; anzi, la sentenza, specie in materie delicate come la previdenza, è preceduta di solito dall’acquisizione di elementi sui costi . Particolare attenzione quindi, ma se in discussione ci sono diritti irrinunciabili, come quelli dei cittadini invalidi, allora le risorse si devono trovare. Su questione femminile e parità di genere Amato confessa che «c’è ancora molto da fare. L’equilibrio non è stato ancora raggiunto. Noi maschi abbiamo molto di cui vergognarci, continuiamo a vedere la donna solo dalla cintola in giù, perché così è più comodo. Non può certo essere il Parlamento a risolvere problemi che sono solo nostri». E sul dramma dei femminicidi, ancora pochi giorni fa segnalato da dati di fortissimo allarme, bisogna partire da lontano: «ci ho lavorato anche con ricerche nelle scuole - precisa Amato -: Emerge che i ragazzi sono privi di un’identità cui ancorarsi e quindi cercano l’affermazione di sè attraverso l’impossessamento di ciò che si ha davanti.Il problema è la famiglia che non parla, forse perché non sa cosa dire, c’è tutta una comunità che non funziona. È un problema di tutti, non solo delle istituzioni».

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