STUPIDA RAZZA

venerdì 4 febbraio 2022

in dialogo con il filosofo



«Lo Spettatore» è chiamato in dialogo da un filosofo illustre, Biagio de Giovanni, che, con generosi accenti d’amicizia, così scrive da Napoli: «Ti leggo sempre nei piccoli elzeviri, sei diventato la prima lettura domenicale. E ricavo sempre più l’impressione che il tema che unitariamente sollevi è quello che molti di noi avvertiamo con reazioni diverse, provo a dirla così: La fine del mondo che abbiamo conosciuto, e anzi “conosciuto” è poco, parola, “conoscere”, che uso poco anche in filosofia; il mondo dove siamo “stati”, il mondo che siamo noi e che continua a vivere, come memoria viva, in un mondo “altro”, un contrasto irrimediabile non solo perché anche noi “diventiamo” quel mondo, ma perché, nel diventarlo, abbiamo sofferenza, viviamo una vita dimezzata, sofferenza che ormai fatica a tradursi in pensiero, e quasi oggi mi sembra che il nostro Severino è stato il filosofo che più di ogni altro ha capito questo, e si è in qualche modo rifugiato nell’eterno, ma riuscendo ad abitarlo sempre e solo come una promessa». C’è, di certo, unità nelle sobrie prose della domenica: l’unità di chi, affacciandosi sulle vicende quotidiane, prova a coglierne temi ed a ricondurli in una sua prospettiva. Non tanto li registra e narra, quanto scruta e interroga. Questo interpretare non sfugge alla dolente antitesi tra il mondo di ieri, vissuto e custodito nella memoria, mondo dove “siamo stati”, e un mondo “altro”, che ci è dintorno e chiede di essere capito. Ne nascono la sofferenza interiore e la fatica del pensiero, che Biagio de Giovanni esprime con rara efficacia di parola, ed anche la tentazione severiniana di «rifugiarsi nell’eterno» (che è però abitabile «sempre e solo come una promessa»). Ma – notiamo alla dialogante cortesia dell’amico – già nello scrivere i “piccoli elzeviri” domenicali, c’è un andar oltre l’immediata sofferenza dell’antitesi, un vederla a distanza, con la vigilata curiosità, appunto, di uno “spettatore”. La distanza stempera il rapporto con il mondo “altro”: non lo esclude e annebbia, ma ne pone in risalto caratteri simili o inattese connessioni. “Conoscere” forse non basta, e ne traiamo sempre un che di amaro e doloroso; eppure esso appresta, per dir così, un “rifugio” terreno e determinato. Si ha la consolatoria impressione di “stare” nella storia. Emanuele Severino, che fu grande e comune interlocutore, additava una strada non caduca e non precaria, ma tale da esigere una scelta ardua e definitiva. Una scelta che i dialoganti non hanno compiuto. Intorno a Biagio de Giovanni, festeggiante il novantesimo genetliaco, ci si trovò raccolti il 6 dicembre 2021 nel napoletano Palazzo Filomarino, offrendogli un “Libro degli amici” (edito dalla raffinata Bibliopolis), che reca testimonianze di estrema e affettuosa stima (da Giorgio Napolitano a Ciliberto, da Cacciari a Esposito). Lo Spettatore vorrebbe oggi aggiungervi un’altra piccola pagina.

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