NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
venerdì 4 febbraio 2022
in dialogo con il filosofo
«Lo Spettatore» è
chiamato in dialogo da
un filosofo illustre,
Biagio de Giovanni, che, con
generosi accenti d’amicizia, così
scrive da Napoli: «Ti leggo
sempre nei piccoli elzeviri, sei
diventato la prima lettura
domenicale. E ricavo sempre più
l’impressione che il tema che
unitariamente sollevi è quello
che molti di noi avvertiamo con
reazioni diverse, provo a dirla
così: La fine del mondo che
abbiamo conosciuto, e anzi
“conosciuto” è poco, parola,
“conoscere”, che uso poco anche
in filosofia; il mondo dove siamo
“stati”, il mondo che siamo noi e
che continua a vivere, come
memoria viva, in un mondo
“altro”, un contrasto
irrimediabile non solo perché
anche noi “diventiamo” quel
mondo, ma perché, nel
diventarlo, abbiamo sofferenza,
viviamo una vita dimezzata,
sofferenza che ormai fatica a tradursi in pensiero, e quasi oggi
mi sembra che il nostro Severino
è stato il filosofo che più di ogni
altro ha capito questo, e si è in
qualche modo rifugiato
nell’eterno, ma riuscendo ad
abitarlo sempre e solo come una
promessa».
C’è, di certo, unità nelle sobrie
prose della domenica: l’unità di
chi, affacciandosi sulle vicende
quotidiane, prova a coglierne
temi ed a ricondurli in una sua
prospettiva. Non tanto li registra
e narra, quanto scruta e
interroga. Questo interpretare
non sfugge alla dolente antitesi
tra il mondo di ieri, vissuto e
custodito nella memoria, mondo
dove “siamo stati”, e un mondo
“altro”, che ci è dintorno e chiede
di essere capito.
Ne nascono la sofferenza
interiore e la fatica del pensiero,
che Biagio de Giovanni esprime
con rara efficacia di parola, ed
anche la tentazione severiniana
di «rifugiarsi nell’eterno» (che è
però abitabile «sempre e solo
come una promessa»). Ma –
notiamo alla dialogante cortesia
dell’amico – già nello scrivere i
“piccoli elzeviri” domenicali, c’è
un andar oltre l’immediata
sofferenza dell’antitesi, un
vederla a distanza, con la vigilata curiosità, appunto, di uno
“spettatore”.
La distanza stempera il
rapporto con il mondo “altro”:
non lo esclude e annebbia, ma ne
pone in risalto caratteri simili o
inattese connessioni.
“Conoscere” forse non basta, e
ne traiamo sempre un che di
amaro e doloroso; eppure esso
appresta, per dir così, un
“rifugio” terreno e determinato.
Si ha la consolatoria impressione
di “stare” nella storia. Emanuele
Severino, che fu grande e
comune interlocutore, additava
una strada non caduca e non
precaria, ma tale da esigere una
scelta ardua e definitiva.
Una scelta che i dialoganti non
hanno compiuto.
Intorno a Biagio de Giovanni,
festeggiante il novantesimo
genetliaco, ci si trovò raccolti il 6
dicembre 2021 nel napoletano
Palazzo Filomarino, offrendogli
un “Libro degli amici” (edito
dalla raffinata Bibliopolis),
che reca testimonianze di
estrema e affettuosa stima
(da Giorgio Napolitano a
Ciliberto, da Cacciari a Esposito).
Lo Spettatore vorrebbe
oggi aggiungervi un’altra
piccola pagina.
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