NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
venerdì 4 febbraio 2022
Europa e America antagonistE incertE di Putin
Ese alla fine andasse come in Afghanistan, con
una nuova pesante sconfitta degli Stati Uniti e
dell’Occidente? Nel gioco d’azzardo quasi mai
vince il più ricco o il più forte ma quasi sempre il più
abile e determinato.
In Ucraina il groviglio di rischi cui sono esposti i
maggiori protagonisti della partita è altissimo. La
spregiudicata Russia di Vladimir Putin ha però il
vantaggio di essere un monolite autocratico
guidato da un leader dal sangue freddo, che rende
conto delle proprie azioni quasi solo a sé stesso.
Non vive, o la fa in misura molto minore, rovelli
e titubanze di America ed Europa, le sue
antagoniste incerte. Sicuri soltanto di voler evitare
guerre e destabilizzazione continentale per via
diplomatica o, al peggio, con sanzioni.
La formula per ora non funziona. Tanto che la
Casa Bianca spera nel Consiglio di Sicurezza Onu
per fermare l’invasione russa dell’Ucraina e le
minacce alla pace. Mosca nega, con la Cina dalla
sua, denunciando manovre pretestuose.
«La crisi non riguarda l’Ucraina ma il nuovo
patto sulla sicurezza europea.
Salvo provocazioni, il build-up militare non punta
a Kiev ma agli Stati Uniti per indurli a discutere di
sicurezza europea», dice Dmitrj Trenin. Il direttore
del Carnegie Center di Mosca ricorda che il tema
non è stato affrontato con la Russia dai tempi di
Gorbaciov.
Nel frattempo, il sistema è diventato Nato-centrico
con l’America a guidare l’espansione atlantica a Est,
fino ai confini russi.
Putin vuole resuscitare il vecchio condominio
Usa-Urss sull’Europa. A tutti i costi. Con un
negoziato bilaterale esclusivo per una nuova “pax
europea” riscritta con Stati Uniti e Nato, che
preveda il veto all’ingresso dell’Ucraina nella Nato,
il suo ritiro dai paesi dell’Est, il disarmo nucleare
reciproco per i missili a medio raggio. Tutte
richieste respinte al mittente dai destinatari senza
però chiudere al dialogo. Con l’Europa che tenta
disperatamente ma invano di entrare in partita
senza la forza per riuscirci.
A questo punto è il calcolo dei rischi che obbliga
tutti a un surplace di tensioni controllate ma
crescenti dagli sbocchi imprevedibili. Per tutti è
salato il prezzo da pagare nel braccio di ferro in atto
che deciderà il nuovo assetto della sicurezza
europea e quello dell’ordine geopolitico mondiale.
Putin sa che la partita è più che indigesta per
Stati Uniti, Nato ed Europa. Aumenta le pressioni
per ottenere almeno parziali concessioni.
Altrimenti non è escluso che invada l’Ucraina
perché ha alzato troppo la posta per tirarsi indietro.
Già con i suoi ultimatum è riuscito a resuscitare
la Nato ricompattandone i paesi membri,
calamitando neutrali come Svezia e Finlandia,
sgonfiando le ambizioni europee di autonomia
strategica e costringendo l’America di Biden a
distrarsi dal Pacifico per tornare in Europa.
Pur coltivando l’intesa sempre più cordiale con
la Cina per non allentare la pressione
sull’Occidente, lo zar del Cremlino sa che
l’invasione non sarebbe indolore: oltre a nuove e
pesanti sanzioni, il blocco del gasdotto Nord
Stream 2, la reazione dei mercati, i contraccolpi
su economia e rublo. La probabile e dura
resistenza ucraina.
Se troppi autogol potrebbero indebolire Putin
invece di rafforzarlo anche agli occhi di un partner/
rivale come la Cina, nemmeno per la coppia euro-
americana il confronto è privo di di incognite. Anzi.
Biden è un presidente ondivago ed esitante:
prima il no a interventi militari a sostegno
dell’Ucraina, poi forse, poi magari, poi meglio le
sanzioni finanziarie, poi no meglio quelle ai danni
di Putin e affiliati.
L’Europa è ipnotizzata da una crisi troppo
vicina ma non riesce a trovare unità né solidarietà
interna, divisa dai vari interessi nazionali. La
Germania di Olaf Scholz si è convinta alla fine a
inserire il Nord Stream 2 tra le sanzioni possibili
però impedisce all’Estonia di inviare a Kiev armi di
produzione tedesca.
Prigioniera del ricatto energetico di Mosca (da cui
importa il 40% del gas) e del proprio beato
pacifismo (dal 2008 al 2020 le sue spese militari
sono scese da 303 a 292 miliardi, quelle Usa sono
salite da 656 a 778 miliardi), continua a sognare
trattative dirette con Mosca che la snobba
inseguendo il vecchio rapporto di potenza con gli
Stati Uniti.
Confusione e debolezze sparse da un lato,
dall’altro alti rischi ma ferrea determinazione: sono
aperte le scommesse su chi la spunterà alla fine. La
lezione afghana dovrebbe insegnare qualcosa.
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