L’Opec+ torna a riunirsi con il petrolio vicino ai massimi da sette anni e ormai lanciato a detta di molti analisti verso quota 100 dollari al barile. Ma nelle politiche produttive del gruppo non si profila un cambio di marcia: l’esito più probabile del vertice odierno, stando alle voci della vigilia, sarà l’ennesima conferma del piano di apertura dei rubinetti approvato lo scorso luglio e dunque un altro aumento delle quote di 400mila barili al giorno, anche per il mese di marzo. L’ipotesi di una maggiore “generosità” da parte della coalizione comincia in realtà ad emergere. L’ha sollevata ad esempio Goldman Sachs, alla luce della recente accelerazione della corsa dei prezzi, che potrebbe risvegliare le pressioni politiche da parte degli Usa o di altri grandi consumatori, come Cina e India: solo a gennaio il barile è rincarato del 17%, spingendosi a livelli che non toccava da ottobre 2014 (il Brent si è spinto fino a 91,70 $ e ieri scambiava intorno a 89 $). A influire sull’Opec+ potrebbe contribuire anche la prospettiva di politiche monetarie più restrittive: il gruppo, suggerisce Goldman, potrebbe preoccuparsi di veder rallentare la crescita economica e quindi le entrate da petrolio.Sembra comunque sempre più evidente che l’Opec+ avrebbe un solo modo per accelerare l’apertura dei rubinetti: concedere all’Arabia Saudita di fare da sé, sollevandola da ogni limite di produzione. Ma questo è ben difficile che accada senza che la coalizione si spacchi. Oggi solo Riad e (in misura minore) gli Emirati arabi uniti sono in grado di aumentare in modo significativo l’estrazione di greggio. Chi più chi meno, tutti gli altri membri dell’Opec+ (compresa la Russia) faticano già da tempo ad allinearsi alla propria quota. Il risultato è che il gruppo, senza volerlo, produce molto meno di quanto dice di voler fare (e anche questo fa correre il prezzo del petrolio). A gennaio i 19 Paesi soggetti a quote hanno estratto 28,01 milioni di barili al giorno, secondo stime raccolte da Reuters: ben 674mila bg in meno rispetto agli obiettivi. L’anno scorso il target è stato mancato in media di oltre 800mila bg, con un danno – in termini di mancati guadagni – di 21 miliardi di dollari, in base a un prezzo di 70 dollari al barile. Paradossalmente nelle ultime settimane hanno fatto di più i Paesi esonerati dai tagli produttivi: la Libia dal 17 gennaio è tornata a pompare 1,2 milioni di barili al giorno (era crollata a 0,7 mbg) e il disastrato Venezuela a dicembre ha prodotto 750mila bg, un record da 22 mesi. Presto anche l’Iran, sollevato dalle sanzioni, potrebbe venire in soccorso del mercato: le trattative sul nucleare hanno preso una svolta positiva, al punto che il negoziatore russo Mikhail Ulyanov si è spinto a prevedere un accordo entro fine febbraio.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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