STUPIDA RAZZA

domenica 6 febbraio 2022

La curva dei tassi Usa conferma i timori: l’economia è in frenata

 

Esiste una specie di Nostradamus sui mercati finanziari, non sempre ascoltato: è la curva dei tassi negli Stati Uniti. Negli ultimi 70 anni, le recessioni sono sempre state anticipate di 12-18 mesi dall’inversione di questa curva: cioè dal fenomeno che vede i titoli di Stato Usa a 2 anni quotare con rendimenti più alti di quelli a 10 anni. Ebbene: oggi questo “veggente” finanziario, cioè la curva dei tassi, inizia a scrutare nubi sempre più nere all’orizzonte. Il differenziale tra i tassi a 2 e 10 anni era infatti a 158 punti base il 31 marzo 2021, è sceso poi a 75 punti base prima della riunione della Federal Reserve di settimana scorsa e ora gira intorno a 63. Ancora l’inversione è lontana, dunque il Nostradamus della finanza ancora non fiuta il vento gelido della recessione. Ma la curva che si fa sempre meno inclinata (la pendenza è più che dimezzata in un anno) indica che il mercato vede sempre più chiaro il rallentamento economico. Di fattori che indicano questo scenario negli Stati Uniti e nel mondo, in effetti, ce ne sono molti. La curva dei tassi non fa altro che fotografarli. Per esempio l’inflazione elevatissima (al 7% negli Stati Uniti e al 5% in Eurozona): questo pesa sui redditi reali dei cittadini e dunque sui consumi. Quindi sull’economia. Oppure il cambio, in senso restrittivo, della politica monetaria delle banche centrali: la Fed ormai va verso quattro rialzi dei tassi nel 2022 a partire da marzo e verso la possibile riduzione dei titoli acquistati in questi anni. Questo rischia di frenare la crescita economica forse più dell’inflazione, tanto che uno degli scenari più dibattuti attualmente è quello temibile della stag-flazione. Pesano poi le strozzature e le interruzioni nelle catene globali delle forniture, che costringono le aziende a produrre meno di quanto potrebbero. Infine il rincaro dell’energia sta diventando un vero macigno sulla crescita economica, soprattutto in Europa, aggravato anche dalla crisi geopolitica in Ucraina. Per non parlare del Covid, che tra una variante e l’altra impedisce di riaprire davvero le economie. Se la curva dei tassi negli Stati Uniti si appiattisce, insomma, non c’è affatto da stupirsi. Per ora tutti sono ancora convinti che il 2022 sarà un anno di crescita economica. Le stime medie degli economisti (secondo Bloomberg) prevedono per gli Stati Uniti un +3,8%, per l’Eurozona un +4% e per il mondo un +4,3%. Ma i rischi crescono. È stato lo stesso Fondo monetario, nel suo ultimo «World economic outlook», a scriverlo chiaro e tondo: «L’economia globale entra nel 2022 in una posizione di maggiore debolezza rispetto a quanto precedentemente indicato - si legge -. La stima sulla crescita a livello mondiale è stata rivista al ribasso dal 5,9% di ottobre al 4,4%, principalmente a causa del rallentamento delle de maggiori economie». Una delle due è proprio quella statunitense. Insomma: dobbiamo ancora finire lo champagne per festeggiare il boom economico del 2021 (persino l’Italia ha sfoggiato un +6,5%), che già tira un’aria da festa finita. Questo avrà implicazioni anche sui mercati. Attualmente in Borsa va in onda una rotazione settoriale: gli investitori escono dal settore tech, per comprare azioni dei settori “old economy” più legati al ciclo economico. Ma se l’economia frena oltre le aspettative, allora l’intera narrazione che sostiene i mercati azionari pur in una forte volatilità verrebbe spazzata via. A meno che le banche centrali non tornino espansive, ma questo non è attualmente nell’aria. Come andrà a finire è difficile a dirsi: forse non lo sa neppure il Nostradamus della finanza.

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