STUPIDA RAZZA

domenica 6 febbraio 2022

L’energia spinge l’inflazione +4,8% a gennaio, top da 26 anni

 

L’impatto era previsto. Ed è pesante. Secondo l’Istat a gennaio l’inflazione è cresciuta dell’1,6% su base mensile, portando così il dato annuale al 4,8%, il più alto dal 1996. A far volare l’indice sono essenzialmente i rincari delle bollette di luce e gas e dei carburanti. In forte crescita anche gli indici del così detto carrello della spesa (alimentari, prodotti per la casa e beni di frequente acquisto). Preoccupazione da parte dei sindacati che denunciano la ridotta capacità di spesa delle famiglie a fronte dei salari praticamente fermi. Ma anche gli analisti del’Istat lanciano l’allarme: un persistente indice inflattivo elevato rode possibilità alla crescita del Pil e crea tensioni sociali.Prezzi in crescita come non accadeva da 26 anni. Bisogna risalire infatti all'aprile 1996 per trovare un fiammata dell’inflazione come si è registrata a gennaio 2022, con una crescita su base annua del 4,8% (era stata del 3,9% a dicembre), e mensile dell’1,6%: anche nel caso congiunturale per trovare un rimbalzo analogo bisogna andare addirittura all'ottobre 1983. L’Istat, nella stima preliminare ribadisce quanto ormai noto da mesi (ma ancora non per queste dimensioni): sono i beni energetici a spingere i prezzi, e in particolare di quelli regolamentati (+38,6%), ma tensioni inflazionistiche crescenti si manifestano anche in altri comparti merceologici. Infatti accelerano sia i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +2,4% di dicembre a +3,2%) sia quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +4,0% a +4,3%). Il dato porta l’inflazione acquisita (quella che ci sarebbe a fine anno se i prezzi nei prossimi 11 mesi non salissero affatto) per il 2022 al 3,4% (era stato dello -0,1% appena 12 mesi fa), un dato impensabile fino a dicembre: per tutto l’autunno il mantra è stato che era un fenomeno passeggero. L’Istat sottolinea tuttavia che la componente di fondo, al netto di energetici e alimentari freschi rimane stabile a +1,5%, mentre quella al netto dei soli beni energetici accelera da +1,6% a +1,8%. «La pandemia ha introdotto delle variabili che ancora non riusciamo a controllare pienamente, in termini di conseguenze. È ovvio che i consumi delle famiglie sono condizionati anche dalle restrizioni che ci sono ancora, dalle possibilità, dai timori anche che ci sono, per l’utilizzo e la fruizione dei servizi» afferma l’Istat nella conferenza stampa che ha presentato i dati. «Se si dovesse consolidare un trend di questa ampiezza, saremmo di fronte a un elemento non sano, ma patologico che produrrebbe conseguenze sull’economia, se questo surriscaldamento non dovesse cominciare a rallentare credo che le preoccupazioni per la crescita del Pil diventerebbero consistenti» osserva Federico Polidoro, direttore per i prezzi al consumo. Il quadro dei prezzi inoltre «desta preoccupazione non solo per le conseguenze economiche ma anche per quelle sociali» ha aggiunto Cristina Freguja, direttore per le Statistiche Sociali: «L’impatto inflazionistico è più ampio per le famiglie più povere che solitamente destinano maggiori acquisti ai prodotti energetici. Poiché sono soprattutto i beni ad incidere in misura maggiore sulle spese delle famiglie meno abbienti, il rialzo dell’inflazione segna valori più elevati per le famiglie meno abbienti rispetto a quelle più ricche». Proprio per questo, ha sottolineato, «l’impatto inflazionistico è risultato quindi più ampio per le famiglie più povere che sono solite destinare all’acquisto dei beni energetici una quota maggiore del loro bilancio». Ci sono poi potenziali conseguenze a cascata sui risparmi (i conti correnti sono a tasso zero da anni) e se l’inflazione dovesse essere duratura questo potrebbe avere un impatto negativo, «anche le obbligazioni e titoli di Stato potrebbero essere a rischio visti i rendimenti che sono mediamente bassi e spesso fissi nel tempo». Inoltre il marcato rialzo dell’inflazione, osservano all’Istat, «potrebbe innescare conseguenze dal punto di vista delle scelte relative ai contratti di rinnovo e dell’adeguamento dei salari. È una valutazione che oggi è complessa da fare, ci sono fattori difficili da inglobare e si potrà valutare meglio nei prossimi mesi». L’Istat ha infine analizzato l’inflazione a 20 anni dall’introduzione dell’euro. Ebbene, il bilancio è certamente positivo: «Vent’anni di euro hanno costituito un elemento di scudo contro le dinamiche inflazionistiche più marcate» conclude Polidoro.

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