L’impatto era previsto. Ed è pesante. Secondo l’Istat a gennaio l’inflazione è cresciuta dell’1,6% su base mensile, portando così il dato annuale al 4,8%, il più alto dal 1996. A far volare l’indice sono essenzialmente i rincari delle bollette di luce e gas e dei carburanti. In forte crescita anche gli indici del così detto carrello della spesa (alimentari, prodotti per la casa e beni di frequente acquisto). Preoccupazione da parte dei sindacati che denunciano la ridotta capacità di spesa delle famiglie a fronte dei salari praticamente fermi. Ma anche gli analisti del’Istat lanciano l’allarme: un persistente indice inflattivo elevato rode possibilità alla crescita del Pil e crea tensioni sociali.Prezzi in crescita come non accadeva da 26 anni. Bisogna risalire infatti all'aprile 1996 per trovare un fiammata dell’inflazione come si è registrata a gennaio 2022, con una crescita su base annua del 4,8% (era stata del 3,9% a dicembre), e mensile dell’1,6%: anche nel caso congiunturale per trovare un rimbalzo analogo bisogna andare addirittura all'ottobre 1983. L’Istat, nella stima preliminare ribadisce quanto ormai noto da mesi (ma ancora non per queste dimensioni): sono i beni energetici a spingere i prezzi, e in particolare di quelli regolamentati (+38,6%), ma tensioni inflazionistiche crescenti si manifestano anche in altri comparti merceologici. Infatti accelerano sia i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +2,4% di dicembre a +3,2%) sia quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +4,0% a +4,3%). Il dato porta l’inflazione acquisita (quella che ci sarebbe a fine anno se i prezzi nei prossimi 11 mesi non salissero affatto) per il 2022 al 3,4% (era stato dello -0,1% appena 12 mesi fa), un dato impensabile fino a dicembre: per tutto l’autunno il mantra è stato che era un fenomeno passeggero. L’Istat sottolinea tuttavia che la componente di fondo, al netto di energetici e alimentari freschi rimane stabile a +1,5%, mentre quella al netto dei soli beni energetici accelera da +1,6% a +1,8%. «La pandemia ha introdotto delle variabili che ancora non riusciamo a controllare pienamente, in termini di conseguenze. È ovvio che i consumi delle famiglie sono condizionati anche dalle restrizioni che ci sono ancora, dalle possibilità, dai timori anche che ci sono, per l’utilizzo e la fruizione dei servizi» afferma l’Istat nella conferenza stampa che ha presentato i dati. «Se si dovesse consolidare un trend di questa ampiezza, saremmo di fronte a un elemento non sano, ma patologico che produrrebbe conseguenze sull’economia, se questo surriscaldamento non dovesse cominciare a rallentare credo che le preoccupazioni per la crescita del Pil diventerebbero consistenti» osserva Federico Polidoro, direttore per i prezzi al consumo. Il quadro dei prezzi inoltre «desta preoccupazione non solo per le conseguenze economiche ma anche per quelle sociali» ha aggiunto Cristina Freguja, direttore per le Statistiche Sociali: «L’impatto inflazionistico è più ampio per le famiglie più povere che solitamente destinano maggiori acquisti ai prodotti energetici. Poiché sono soprattutto i beni ad incidere in misura maggiore sulle spese delle famiglie meno abbienti, il rialzo dell’inflazione segna valori più elevati per le famiglie meno abbienti rispetto a quelle più ricche». Proprio per questo, ha sottolineato, «l’impatto inflazionistico è risultato quindi più ampio per le famiglie più povere che sono solite destinare all’acquisto dei beni energetici una quota maggiore del loro bilancio». Ci sono poi potenziali conseguenze a cascata sui risparmi (i conti correnti sono a tasso zero da anni) e se l’inflazione dovesse essere duratura questo potrebbe avere un impatto negativo, «anche le obbligazioni e titoli di Stato potrebbero essere a rischio visti i rendimenti che sono mediamente bassi e spesso fissi nel tempo». Inoltre il marcato rialzo dell’inflazione, osservano all’Istat, «potrebbe innescare conseguenze dal punto di vista delle scelte relative ai contratti di rinnovo e dell’adeguamento dei salari. È una valutazione che oggi è complessa da fare, ci sono fattori difficili da inglobare e si potrà valutare meglio nei prossimi mesi». L’Istat ha infine analizzato l’inflazione a 20 anni dall’introduzione dell’euro. Ebbene, il bilancio è certamente positivo: «Vent’anni di euro hanno costituito un elemento di scudo contro le dinamiche inflazionistiche più marcate» conclude Polidoro.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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