STUPIDA RAZZA

venerdì 4 febbraio 2022

Nell’era del Metaverso un ruolo di primo piano anche per il gaming

 

Quando il gioco si fa duro i colossi iniziano a giocare. Così in questi giorni TechCrunch ha raccontato l’acquisizione di Microsoft per 68,7 miliardi di dollari di Activision Blizzard, uno più grandi produttori di videogiochi al mondo con 8 miliardi di fatturato, noto per titoli come Call of Duty e Candy Crush. Non è un caso isolato. Sempre Microsoft in autunno ha acquisito Bethesda Softworks, mentre Savvy Gaming Group ha preso due società tedesche leader nei campionati e nelle infrastrutture degli e-sport. L’avanzata dei game designer «Siamo in un periodo di fermento per l’industria video ludica. I grandi player tendono a consolidarsi con continue acquisizioni di studio e relativi cataloghi di gioco. L’obiettivo è prepararsi ad essere leader nella più ampia sfida del Metaverso. Sono sempre più le aziende non gaming che hanno iniziato una corsa ad accaparrarsi creativi, designer e progettisti di videogiochi per comprendere e sviluppare gli ambienti hardware e software alla base dell’idea di Metaverso. I game designer saranno gli artefici delle nuove industrie legate al Web3. D’altronde si tratta di coloro che hanno maneggiato comunità con milioni di persone», afferma Fabio Viola, uno dei più noti game designer italiani, co-autore de “L’arte del coinvolgimento” per Hoepli e di “Giocarsi” per Hogrefe. I numeri raccontano di un comparto inarrestabile: oggi nel mondo giocano 2,8 miliardi di persone con un'età media di 37 anni, 180 miliardi di dollari di fatturato con l’Italia a 2,2 miliardi. Il mantra dell’engagement Per i brand siamo all’alba di una rivoluzione. «Quello che si intravede è un mondo ibrido che non parte più dal prodotto fisico e con regole commerciali che si rifanno a percorsi integrati e interattivi. E-commerce e social tenderanno ad essere cannibalizzati in un hub che ha una parte di gioco legato alle community, una parte transmediale con musica come avviene in Fortnite e una parte diretta di acquisto digitale. Così l’esperienza verrà sempre più contestualizzata nel gioco per poi tornare indietro in una dimensione fisica, magari con capsule collection», precisa Viola. Negli ultimi 5 anni a innovare maggiormente è stata la moda: Nike, Louis Vuitton, Gucci, Ralph Loren hanno sperimentato forme di contaminazione col gaming. A scommettere sulla gamification in Italia ci sono anche Costa Crociere, Mulino Bianco, Technogym. Flowe, la carta di credito di Mediolanum, ha una divisione interna sul gaming. «Sin dalla sua nascita il gaming si è focalizzato sulla capacità di coinvolgere i giocatori. E non c’è monetizzazione senza coinvolgimento. Gli operatori hanno capito che i pubblici sono più legati a voler fare le cose, più che a dover fare le cose e hanno ingegnerizzato i prodotti in logiche di premialità intrinseca. Oggi le aziende comprano queste tecniche di progettazione e di design per cooptarle in mondi che non sono gaming» conclude Viola. In gioco c’è la sfida dell’attenzione, che implica protagonismo e controllo sull’esperienza nel segno della convergenza. 

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