N el tempo impiegato a leggere questo articolo, un paio di minuti, 260mila euro di merce hanno già preso la direzione di Berlino. Piccoli “mattoni” che si ricompongono in un dato macro rilevante, 67 miliardi di vendite lo scorso anno, il 13% dei 516 miliardi di euro piazzati oltreconfine dall’Italia. Se per la manifattura italiana fare a meno delle vendite in Russia e Ucraina pare tutto sommato un danno gestibile, l’indebolimento prospettico degli acquisti di Berlino sarebbe invece per il made in Italy un colpo ben peggiore. Nel momento in cui il sistema già scricchiola, tra inflazione galoppante ed energia fuori controllo, supply chain impazzite e rischio default che abbraccia 100mila aziende, l’ipotesi di un autunno di crisi per la prima manifattura continentale è visto con più di un timore. «Già ora - spiega l’imprenditore Florenzo Vanzetto - la crisi dei chip ti costringe a lavorare in modo isterico perché prima i clienti ti chiedono di fermare le consegne, poi vogliono che tu corra. Qualche rallentamento si vede ma io sono preoccupato soprattutto per il secondo semestre». Timori comprensibili, tenendo conto che la sua Vrm realizza in Germania un terzo dei propri ricavi, in particolare nella componentistica per moto e auto. Settore, quest’ultimo, a cui la filiera nazionale è legata a doppio filo e che per la Germania rappresenta l’epicentro del problema. La produzione locale di auto, infatti, deve ancora chiudere la voragine aperta nell’anno del Covid: se nel 2019 Berlino costruiva in Germania 4,7 milioni di vetture, i volumi crollano a 3,5 milioni l’anno successivo, per calare nel 2021 di altre 400mila unità. Debolezza che si riverbera sull’intera economia, che in termini di produzione viene sopravanzata dall’Italia, il cui indice è ampiamente sopra i livelli preCovid, a differenza di quanto accade a Berlino. La caduta progressiva dell’indice Ifo indica chiaramente l’orientamento degli umori, ben sintetizzati dal saldo percentuale tra ottimisti e pessimisti nella manifattura, azzerato in un anno partendo dalla “vetta” di quota 29. Notizie pessime per un’economia, quella italiana, che punta proprio sulla Germania per presidiare le catene del valore globali. Il primato tedesco tra i nostri mercati esteri non è stato infatti scalfito neppure dall’ingresso nell’arena competitiva di altre piazze extra-Ue: rappresenta il 13% delle nostre vendite oltreconfine ora, valeva il 13% anche dieci anni fa. In alcuni casi, come per la filiera dei metalli, l’importanza è peraltro ben superiore, arrivando oltre il 21% dell’export totale, così come oltre la media nazionale sono gomma-plastica e automobili; apparati elettrici, legno e comparto food.Il 2022 mostra finora segnali “deboli”, con Berlino ad aumentare gli acquisti di made in Italy del 17,1% nei primi quattro mesi dell’anno, risultato inferiore alla media globale (+20,7%) solo per il crollo a doppia cifra degli acquisti di auto. La sensazione è però quella di un motore che già ora rallenta il numero di giri: uno stop al gas russo, in autunno, sarebbe il colpo decisivo.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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