STUPIDA RAZZA

domenica 10 luglio 2022

Ombre cinesi su fotovoltaico e auto La mania green ci venderà a Pechino

 

Le politiche «green» rischiano di venderci alla Cina. Come? E perché? Una risposta arriva da ll’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (in inglese, Iea che sta per International Energy Agency) in cui la stessa agenzia lancia un chiaro avvertimento: Pechino produrrà presto il 95% della catena di approvvigionamento solare. La quota cinese in tutte le fasi di produzione dei pannelli solari attualmente supera l’80% e, per gli elementi chiave tra cui polisilicio e wafer (nella microelettronica è una sottile fetta di materiale semiconduttore) è destinato a salire a oltre il 95% nei prossimi anni, in base all’attuale capacità di produzione in costruzione. L’Iea lo mette, dunque, proprio nero su bianco: «Il mondo dipenderà quasi completamente dalla Cina per la fornitura di elementi chiave per la produzione di pannelli solari fino al 2025», si legge nel rapporto. Dove si aggiunge anche che «questo livello di concentrazione in qualsiasi catena di approvvigionamento globale rappresenterebbe una notevole vulnerabilità». Garantire una transizione sicura verso emissioni nette zero richiederà dunque «maggiori sforzi per espandere e diversificare la produzione globale di pannelli solari», scrive l’agenzia sottolineando gli squilibri nelle catene di approvvigionamento del fotovoltaico. «Il raggiungimento degli obiettivi internazionali in materia di energia e clima richiede che l’implem entazione globale del solare fotovoltaico cresca su una scala senza precedenti. Ciò a sua volta richiede u n’ulteriore importante espansione della capacità manifatturiera, sollevando preoccupazioni sulla capacità del mondo di sviluppare rapidamente catene di approvvigionamento resilienti», viene aggiunto nel rapporto. Ad esempio, le aggiunte annuali di capacità solare fotovoltaica ai sistemi elettrici in tutto il mondo devono più che quadruplicare entro il 2030 per essere in linea con il percorso della Iea verso il raggiungimento di emissioni nette zero entro il 2050. La capacità di produzione globale per gli elementi fondamentali dei pannelli solari (polisilicio, lingotti, wafer, celle e moduli) dovrebbero quindi più che raddoppiare entro il 2030 rispetto ai livelli odierni e gli impianti di produzione esistenti dovrebbero essere mod e r n i z zat i . Il solare, però, non è l’u n ic o settore dove il Dragone può fagocitare la concorrenza occidentale. La cinese Byd ha appena detronizzato Tesla come il più grande produttore mondiale di veicoli elettrici, ha superato la sudcoreana Lg come secondo produttore mondiale di batterie per le auto elettriche e ha avviato la realizzazione di un gigantesco polo industriale per la costruzione di auto elettriche acquistando un lotto di terreno di 554.000 metri quadrati nei dintorni della città di Shenzhen, che sarà concesso dallo Stato per 30 anni. E che si aggiunge ad altri 400.000 metri quadri che la casa ha acquistato lo scorso anno. E ancora: l’amministrazione di Changchun, metropoli di 7,5 milioni di abitanti della provincia dello Jilin, ha annunciato di voler costruire un nuovo polo automobilistico all’avanguardia per attrarre altri costruttori automobilistici da aggiungere a quelli già presenti. Con il nuovo piano, la città arriverà ad avere nel 2025 altre sei fabbriche attive e una rete di 500 satelliti che faranno parte dell’i n d otto. Nel frattempo, la quota di mercato cinese per i componenti delle batterie è addirittura salita dal 43% nel 2014 al 60% nel 2020 grazie allo stretto controllo di elementi critici come litio, nichel, cobalto e pa l l ad io. Il problema è che i cinesi stanno avanzando proprio nel bel mezzo della traversata dell’automotive verso gli obblighi europei dello stop a benzina e diesel nel 2035. Il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, in una recente intervista ha definito il voto europeo sull’auto elettrica «una grande delusione, una scelta ideologica» perché «il destino dell’auto non è solo elettrico, a meno che non si voglia fare un regalo alla Cina, che su questo fronte è davanti a tutti». Nel nostro Paese ci sono 101 aziende su 900 ad alto rischio di chiusura perché specializzate nel powertrain , il modulo dell’auto con la combustione interna destinato a sparire. Valgono 8,5 miliardi e 26 mila addetti. Al contrario, segnala il Mise, sono solo 40 le imprese che lavorano con batterie, connettività e guida autonoma. Anche il ministro della Transizione ecologica, R oberto Cingolani, ha ammesso che «chi possiede le materie prime, determina il mercato. Le batterie accumulano circa 300 wattora per un chilo di peso. Se ne dovranno produrre decine di migliaia di tonnellate per elettrificare le auto d’Europa, e i materiali per costruirle li dovremo importare». Da dove? In larga parte dalla Cina, che oggi controlla direttamente oltre la metà della produzione di litio e terre rare necessari a produrre veicoli elettrici, ma che sta aumentando la propria influenza sui giacimenti presenti in Africa e in Sudamerica.

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