STUPIDA RAZZA

martedì 4 ottobre 2022

Mille miliardi in più il costo per rifinanziare il debito globale

 

La stretta monetaria delle banche centrali e la crescente incertezza sui mercati finanziari costringe governi e aziende a farsi carico di un aggravio dei costi del rinnovo del debito esistente che supera i mille miliardi di dollari complessivi. Intanto, da marzo a oggi la liquidità in circolazione nel mondo è diminuita di circa 7mila miliardi di dollari, da 104 mila a meno di 97mila miliardi. Quella che ancora c’è, ed è tanta, circola sempre meno sui mercati. Si blocca nei portafogli degli investitori o nei forzieri delle banche   centrali. Sembra questo il filo rosso che collega eventi apparentemente slegati tra loro, dall’estrema volatilità dei mercati azionari alla crisi dei titoli di Stato inglesi. Così il carburante che per oltre un decennio Borse e bond sui massimi storici, comincia a ridursi. Il denaro è ancora molto abbondante, ma lentamente i mercati si stanno avvicinando alla «zona pericolosa» e se dovesse continuare la stretta delle banche centrali, prima o poi lo shock sui mercati si farà sentire.Mille e probabilmente più di mille. È il fardello aggiuntivo, in miliardi di dollari, che grava oggi sui debitori nel palcoscenico internazionale, da governi a aziende che debbano rifinanziare le loro obbligazioni. Cifre che riflettono una “penale” con pochi precedenti agli occhi degli osservatori. Imposta dalle scosse sui mercati dei bond nel clima di incognite sulla crisi economica, dalle impennate dell’inflazione e dalla determinazione delle banche centrali, Federal Reserve in testa, di combattere il caro vita a colpi di aggressivi rialzi dei tassi d’interesse anche a costo di dar corpo a spettri di vera e propria recessione. Non basta: la montagna da mille miliardi in costi extra, stimata da Bloomberg, può in realtà ancora ingigantirsi, gonfiata dal peggioramento delle condizioni del credito. E minacciare di rivelarsi insormontabile per i protagonisti considerati più vulnerabili, o particolarmente esposti al rafforzamento del dollaro perché indebitati in valuta statunitense. Una miscela sufficiente a far temere che si inneschino preoccupanti spirali di pessimismo. Chi oggi voglia o debba emettere nuovi titoli del debito, più precisamente, fa i conti con interessi da pagare in media saliti di 156 punti base rispetto a quanto richiesto dalle securities esistenti. Una differenza da record che, tradotta in divisa americana, ammonterebbe per la precisione a 1,01 trilioni di dollari. Per gli stessi debitori targati Usa e Europa quella forchetta media nei costi è diventata la più ampia da un decennio. La citata prospettiva d’un ulteriore aggravio in agguato è oltretutto più che verosimile: il mercato si sta facendo progressivamente più cauto al cospetto di attese di rovesci nell’attività economica e nei bilanci delle imprese. E il costo ipotizzato è una fotografia del presente, mentre operazioni di rifinanziamento non scattano tutte ora o assieme. Le stime sono il frutto di analisi legate ai dati dello speciale Bloomberg Index che segue un ammontare di circa 65.000 miliardi di dollari in debito governativo e corporate in molteplici divise. Calcoli accompagnati dal moltiplicarsi di segni e casi di stress. Già in agosto, sei creditori Usa nell’universo di S&P Global Ratings hanno sofferto default, incapaci di rastrellare nuove risorse. Sul fronte dei paesi in difficoltà, a partire da nazioni in via di sviluppo o emergenti, l'Asia è reduce dal default dello Sri Lanka e dalle bufere sull’indebitato settore immobiliare cinese. Ancora: nei giorni scorsi la fuga dal rischio ha costretto una cordata di banche Usa a cancellare le vendita di 4 miliardi di debito a sostegno di un leveraged buyout lanciato da Apollo Global Management. Persino fondi investiti in titoli considerati più sicuri e di qualità evidenziano una ritirata. I contratti swap su tassi d’interesse, intanto, attraversano estrema volatilità. Gli investitori in bond, sempre secondo indici Bloomberg, da gennaio hanno ormai perso il 14%, indirizzati verso il più grave passivo annuale. E chi è esposto ai bond a settembre ha sperimentato il primo mercato ribassista dell’Orso da una generazione. La somma di sintomi potrebbe far comparire timori di malesseri e squilibri capaci di mettere in dubbio il regolare funzionamento e l’adeguata liquidità del sistema finanziario globale, nonostante la tuttora recente era di riforme anti crisi. Tanto più che la Fed al momento non appare indirizzata a fermare la marcia verso continui rialzi dei tassi, convinta della sostanziale solidità del sistema. La Banca centrale americana a settembre ha effettuato la terza maxi stretta da 75 punti base consecutiva e indicato che una quarta potrebbe scattare al vertice del 2 novembre, con il costo del denaro che salga in tutto di 125 punti base entro fine anno. «L’era del denaro facile è finita e siamo all'inizio di una recessione gobale», ha commentato Neil Shearing, chief economist di Capital Economics, senza escludere pericoli neppure per debito sovrano che non sia «di frontiera», né per società che vadano al di là di quelle più fragili.

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