STUPIDA RAZZA

martedì 4 ottobre 2022

Liquidità globale in ritirata: in sei mesi persi 7mila miliardi

 

La crisi dei titoli di Stato inglesi. I timori (giusti o sbagliati che siano) sulla liquidità di Credit Suisse. L’estrema volatilità dei mercati obbligazionari. Il nervosismo generale. Esiste un filo rosso, sottile, che collega tutti questi eventi tra loro slegati? Esiste un problema sotterraneo che mantiene i nervi degli investitori a fior di pelle? Qualcuno inizia a pensare che sia così: il filo rosso è la lenta, ma inesorabile, riduzione della liquidità globale. Se si guarda l’aggregato M2 a livello mondiale, calcolato da Bloomberg in dollari, si scopre che a marzo 2022 la liquidità nel mondo era arrivata quasi a 104mila miliardi, mentre ora è scesa a 96.800 miliardi. In pochi mesi, insomma, la riduzione è stata di circa 7mila miliardi di dollari. E la liquidità che c’è (ancora tanta) circola sempre meno. Si blocca nei portafogli degli investitori o nei forzieri delle banche centrali. Così quel fantastico carburante che per oltre un decennio ha spinto Borse e bond globali sui massimi storici, inizia a ridursi. Goccia dopo goccia. Siamo solo all’inizio, certo. Il denaro è ancora molto abbondante. Ma il rischio è che, se le banche centrali continueranno a ridurlo, presto o tardi lo shock sui mercati si farà sentire. Almeno nelle sacche del mercato più vulnerabili. Del resto un mondo economico-finanziario che ha campato per anni grazie alle iniezioni di liquidità e che si è iper-indebitato, fin dove può reggere se gli viene tolta poco a poco la ”droga” monetaria? Ecco perché, secondo Michael J. Wilson, equity strategist di Morgan Stanley, stiamo entrando nella «zona pericolosa»: «L’area - scrive - dove gli incidenti finanziari accadono». Il drenaggio di Fed e BoE I dati iniziano ad essere eloquenti. Per la prima volta dal 2015, la crescita annua dell’aggregato monetario M2 a livello globale è andata in negativo. E se manterrà il passo attuale di 750 miliardi di dollari in meno al mese, secondo le stime di Morgan Stanley, presto la decrescita raggiungerà il 30%. Una parte si è spostata nell’aggregato M3, ma in generale il calo c’è. Del resto le banche centrali tra continui rialzi dei tassi e «quantitative tightening» (cioè la vendita o il mancato rinnovo dei titoli acquistati durante la pandemia) stanno restringendo i loro bilanci e dunque l’abbondanza di denaro. A livello globale - calcola Yardeni Research - solo le quattro maggiori banche centrali sono già “dimagrite” di oltre 3mila miliardi di dollari. E ora la riduzione della liquidità dovrebbe accelerare: non solo negli Stati Uniti (dove la Fed sta già diminuendo i titoli in portafoglio e a settembre ha accelerato) ma anche in Gran Bretagna, dove la Bank of England (se ce la fa) dovrebbe iniziare a fine mese a ridurre i titoli che ha comprato durante la pandemia. E quasi tutte le banche centrali del mondo hanno terminato i programmi di «quantitative easing». Cioè le iniezioni di denaro. Gli altri fattori di drenaggio Ma non sono solo le banche centrali ad asciugare i mercati. «Ci sono altri motivi per cui la liquidità in dollari si riduce - scrive Wilson di Morgan Stanley -. Per esempio gli elevati prezzi del petrolio e di molte materie prime comprate e vendute in dollari, la crescente stretta regolamentare e la minore velocità di circolazione della moneta nell’economia reale». Ma forse c’è un’altra motivazione che peggiora il quadro: la paura generale. Quel costante stato di ansia che induce gli investitori e i consumatori a tenere parcheggiata la liquidità. A non impiegarla. Negli Stati Uniti, per esempio, hanno raggiunto il record storico di 2.367 miliardi di dollari i cosiddetti Reverse Repo che banche e fondi monetari fanno con la Federal Reserve: si tratta di operazioni che durano una sola notte (che vengono rinnovate di giorno in giorno) con cui le banche danno liquidità in eccesso alla Fed e prendono titoli in garanzia. «Di fatto - spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte - questo è un modo per parcheggiare la liquidità presso la banca centrale Usa e non impiegarla sui mercati o sull’economia reale». I motivi del record storico dei Reverse Repo negli Usa possono essere molteplici, anche tecnici. Ma il risultato è lo stesso: una grande quantità di denaro resta parcheggiata presso la Fed, mentre in generale la liquidità cala a livello mondiale. «Questo è un altro fattore di drenaggio - aggiunge Cesarano - che rischia di strozzare il mercato». Gli effetti della “secca” Il fenomeno è ancora agli albori e - in generale - la liquidità resta abbondante. Ma la sua graduale riduzione sta probabilmente contribuendo ad aumentare le tensioni e le oscillazioni sui mercati finanziari. Lo dimostra l’elevata volatilità delle Borse e soprattutto dei bond. Lo conferma l’indice dello “stress” sui bond Usa elaborato dalla Fed di New York: sul mercato dei titoli aziendali «investment grade», il livello di stress è salito da 0,9 a 0,46 in una scala dove il massimo è a 1. Si tratta del massimo dalla primavera del 2020, in piena pandemia. «A nostro avviso - continua Wilson di Morgan Stanley - questa situazione è insostenibile perché conduce a un intollerabile stress economico e finanziario». Ecco perché c’è chi pensa che prima o poi la Fed dovrà tornare sui suoi passi, come ha fatto - pur per un’emergenza specifica - la Bank f England: «Si può obiettare che il caso inglese sia unico - continua Wilson -. Ma è così che si inizia. In altre parole, gli investitori non possono essere sicuri che la Fed sceglierà o sarà capace di proseguire nella strada indicata». Tra lotta all’inflazione e sostegno all’economia, la Fed fino ad oggi ha scelto la prima. Ma tra lotta all’inflazione e rischio di una nuova crisi finanziaria, cosa sceglierebbe in futuro?



Nessun commento:

Posta un commento