STUPIDA RAZZA

martedì 30 agosto 2022

Allarme della chimica: «Produzioni a rischio per i costi dell’energia»

 

«Molte imprese si trovano a dover ridurre i livelli di produzione e per alcuni settori si fa sempre più consistente l’ipotesi di un’interruzione, con effetti nefasti sul settore manifatturiero, data la posizione prominente della chimica per quasi tutte le filiere. Abbiamo parecchi segnali, soprattutto da aziende che hanno produzioni di chimica di base, quali ammoniaca, acido solforico, cloro soda, o che usano molta energia, come i gas tecnici, i fertilizzanti, abrasivi, e colorifici ceramici. Per molti operare in queste condizioni significa non arrivare nemmeno alla copertura dei costi variabili: questo vuol dire che bisogna fermare gli impianti». Se a dirlo è il presidente di Federchimica, Paolo Lamberti, allora significa che in questa rentrée ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno e servono interventi urgenti. Il nostro paese è il terzo produttore chimico in Europa, con una quota del 10%, e il decimo nel mondo, con un valore della produzione di 56 miliardi. Il settore, molto impegnato sulla transizione ecologica, ha da sempre un ruolo anticipatore nelle tendenze e nelle dinamiche della manifattura perché «è un’infrastruttura tecnologica - continua Lamberti -. Oltre il 70% dei prodotti chimici viene infatti impiegato in tutti i settori industriali e nelle costruzioni, ma il suo utilizzo é rilevante anche nei servizi, così come nei consumi finali. Quasi tutte le filiere risentirebbero pesantemente di una frenata della chimica, dettata da costi insostenibili dell’energia o dal razionamento dell’offerta». Il presidente di Federchimica si affida ancora a due esempi per spiegare: «Il 10% circa dei prodotti chimici é destinato alla filiera agroalimentare ed è fondamentale per garantire condizioni adeguate in termini di resa, qualità e conservazione degli alimenti. La situazione drammatica di carenza di mascherine e vaccini, vissuta nella prima fase dell’emergenza Covid, rischia di ripetersi coinvolgendo molteplici applicazioni». Tutto questo per dire che «il problema dell’industria italiana, come ha rappresentato il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, è un problema di sicurezza nazionale, e la chimica, stando a monte, dà un grosso contributo nel mettere in sicurezza il sistema», sottolinea Lamberti. La necessità di certezze, vitali per l’industria, in questo settore emerge anche nelle relazioni industriali, come mostra il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro chiuso in anticipo sulla scadenza: da un lato ha dato garanzie alle imprese, dall’altro ai lavoratori che lo hanno approvato con il 93% di consensi. Nonostante questi sforzi, la rentrée, quest’anno, coglie tutti in una situazione in cui «il conflitto ucraino ha fortemente esacerbato una tendenza preesistente al rincaro delle quotazioni del petrolio e, in una misura senza precedenti, del gas naturale, con rilevanti ripercussioni anche sull’energia elettrica. Mentre le quotazioni del petrolio sono analoghe in tutto il mondo, le tensioni sul gas naturale si concentrano in Europa», interpreta Lamberti. La crisi energetica ha un impatto duplice sull’industria chimica perché i combustibili fossili, come petrolio e gas naturale, rappresentano non solo fonti energetiche, ma anche materie prime per produzioni di base e intermedi. «La  chimica è il primo settore industriale per consumo di gas e il secondo per consumo di energia elettrica - sottolinea Lamberti -. Prima dell’attuale shock energetico, considerando anche l’impiego come materia prima, il costo dell’energia aveva un’incidenza sul valore della produzione pari all’11%, la più elevata nel panorama industriale». Si tratta di un dato su cui oggi pesa l’effetto moltiplicatore del costo del gas, con punte molto più elevate in alcune produzioni. Incidenza ben al di sopra del 2% sui costi sul fatturato, indicata come soglia dai decreti energivori. Secondo la lettura del presidente di Federchimica va rilevato che questa crisi del gas ha una natura asimmetrica: «L’Europa soffre nei confronti degli Stati Uniti e del Medio Oriente ma anche all’interno della stessa Europa c’è disomogeneità: paesi come Germania e Italia sono più colpiti perché fortemente dipendenti dall’importazione del gas, mentre ad esempio la Francia, che ha fatto scelte diverse in passato, o la Spagna, che ha i rigassificatori, sono più competitivi». Non si deve poi trascurare che oltre il 60% del fatturato dell’industria chimica è generato dall’export con quote, in diversi casi, anche più elevate e questo genera ricadute negative sui mercati di sbocco ma anche sulle importazioni. L’Europa è un’area di trasformazione di materie prime di cui non ha la disponibilità: in questo contesto diventa fondamentale accedere alle risorse in modo sicuro, economico e con continuità. Da europeista convinto, Lamberti dice che è necessario uno sforzo dell’Europa, come avvenne all’epoca dei vaccini, perché ne va della competitività del continente. E vanno ripensate alcune scelte. «È stato chiaramente un errore aver attribuito alla piattaforma TTF di Amsterdam il ruolo di indicatore determinante per il funzionamento di tutto il mercato del gas europeo. Solo fino a pochissimi anni fa, tale ruolo era affidato al molto più solido e trasparente parametro rappresentato dalla media globale del prezzo del petrolio», dice il presidente di Federchimica. A questo punto, aggiunge, «servirebbe un piano di riduzione dei consumi di gas, che avrebbe lo scopo di calmierare questa escalation di prezzi. Inoltre, è indispensabile mantenere un approccio coordinato a livello europeo, con riferimento in particolare al price cap. Sarebbe necessaria una dichiarazione nazionale di adeguato livello di emergenza, come anche richiesto dal Presidente Bonomi». 

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