Dalla Russia arriva una nuova stretta alle esportazioni di gas. Gazprom ha tagliato le forniture alla francese Engie, per non meglio precisati «disaccordi tra le parti sull’applicazione di alcuni contratti», e da oggi chiuderà di nuovo i rubinetti del Nord Stream: altri tre giorni di fermo per il gasdotto, se tutto va bene, che si aggiungono allo stop di dieci giorni che c’era stato a luglio per le manutenzioni programmate annuali. Da Mosca – che aveva preallertato i mercati con una decina di giorni di anticipo – spiegano che ora è necessario revisionare l’unica turbina rimasta in funzione nella stazione di compressione di Portovaya, quella che consente al Nord Stream di pompare verso la Germania circa 30 milioni di metri cubi di gas al giorno, un quinto rispetto alla capacità della pipeline e poco meno di metà delle attuali forniture russe alla Ue, che come fa notare un report di Nomura si sono ormai ridotte ad appena il 10% di quanto arrivava prima della pandemia da Covid. Oggi come il mese scorso è difficile spegnere il dubbio che il gasdotto del Baltico possa rimanere chiuso più a lungo delle 72 ore previste. Il Cremlino stesso – seguendo il copione ormai abituale – non ha mancato di alimentare le apprensioni, con il portavoce Dmitry Peskov che ieri ha sottolineato come nulla impedisca a Mosca di esportare più gas attraverso il Nord Stream «se non problemi tecnologici causati dalle sanzioni occidentali». Le sanzioni, ha insistito, «non ci consentono di effettuare i normali lavori di manutenzione e riparazione». I prezzi del gas nonostante tutto hanno proseguito la correzione al ribasso, aiutati dalla notizia dei forti progressi nell’accumulo di scorte in Europa. Gli stoccaggi Ue hanno già raggiunto – con due mesi di anticipo – il livello minimo prescritto da Bruxelles per l’avvio dell’anno termico: secondo gli ultimi dati Gie sono pieni in media al 79,9% e molti grandi importatori sono oltre l’80% indicato come traguardo per il 1° novembre. L’Italia è all’81,7%, la Germania all’83,3%, ma ci sono Paesi ancora più virtuosi, come Francia e Belgio, intorno al 90%, e Polonia e Portogallo addirittura al 100%. La corsa all’acquisto di gas – a qualunque prezzo, perché “obbligatoria” e finanziata da denaro pubblico – dovrebbe quanto meno rallentare, spegnendo un potente motore rialzista che ha alimentato il rally del gas nelle ultime settimane. Dopo il rialzo di oltre il 40% della settimana scorsa, con picchi superiori a 340 euro per Megawattora, il valore del gas al Ttf è già sceso del 20% lunedì e ieri – nonostante i tagli alle forniture russe – ha perso un altro 7%, concludendo a 254 euroquella che comunque è stata una giornata molto volatile, con oscillazioni tra un minimo di 245 e un massimo di 284 euro per il contratto di settembre. Strappi violenti e repentini, in una direzione o nell’altra, che in un mercato sempre meno liquido sono ormai all’ordine del giorno e che mettono a rischio anche gli operatori più grandi, come insegna il caso Uniper, colosso tedesco che ha appena chiesto al governo una nuova iniezione di liquidità da 4 miliardi di euro, in aggiunta al pacchetto di salvataggio da 15 miliardi ottenuto a luglio: sostituire il gas russo con acquisti sul mercato, ha spiegato, la espone a perdite di «ben oltre» 100 milioni al giorno. Altra vittima eccellente venuta allo scoperto nei giorni scorsi è Wien Energie, la municipalizzata di Vienna, che alle prese con esorbitanti “margin call” ha invocato aiuti statali per 6 miliardi di euro. Il mercato resterà probabilmente instabile a lungo, dominato dai timori sulle prossime mosse di Gazprom. «È molto chiaro che la Russia sta usando il gas come arma di guerra e dobbiamo prepararci a una completa interruzione delle forniture», ha commentato la ministra francese dell’Energia Agnes Pannier-Runacher dopo il taglio imposto a Engie (che comunque aveva già ridotto gli acquisti da Mosca dal 17% al 4% del totale degli approvvigionamenti). Restano in secondo piano – benché pesino non poco sull’offerta di gas – i tagli operati dalla Norvegia, oggi primo fornitore in Europa. Anche Oslo è impegnata in un intenso programma di manutenzioni sia nei giacimenti che sui gasdotti, che proseguirà per quasi tutto settembre. Al picco, nella giornata di mercoledì 7, il mercato perderà 154,68 milioni di metri cubi di gas secondo le previsioni di Gassco, il gestore della rete norvegese.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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