STUPIDA RAZZA

martedì 30 agosto 2022

Bollette, per famiglie e imprese tsunami tra un anno

 

Lo tsunami vero e proprio sulle bollette di imprese e famiglie italiane europee è atteso entro un anno o poco più. Se interventi a livello comunitario non riusciranno a fermare la corsa al rialzo dei prezzi del gas, il rischio che i rincari del costo dell’energia elettrica diventino ingestibili per tutte le imprese e le famiglie è altissimo. Oggi subiscono l’impatto delle oscillazioni i soggetti che hanno contratti indicizzati alla variazione del prezzo (sul mercato italiano del gas Psv, che tratta a premio rispetto al mercato Ttf di Amsterdam per attirare le importazioni del metano). Questi sono i clienti che si avvalgono della tariffa in maggior tutela e le imprese come le energivore, che tendenzialmente hanno sempre privilegiato i contratti a prezzo variabile. La questione è che c’è una fascia ampia di famiglie e di imprese che hanno invece a contratti a un prezzo fisso molto più basso rispetto alle quotazioni di mercato e che, in linea di massima, andranno in scadenza entro un anno e mezzo. La situazione sul mercato oggi è tale che di fatto la gran parte dei venditori di gas ha smesso di operare e di certo quasi nessuno è disposto a rinnovare i contratti a prezzo fisso. Quindi se non interverranno novità entro 12-14 mesi non ci sarà più nessuno al riparo dalle forti oscillazioni. La ragione della forte tensione è dovuta a una sorta di avvitamento della domanda di gas che sta avvenendo in Europa. L’origine è la manipolazione sulle forniture messa in atto da mesi dalla Mosca: ormai stabilmente su un consumo medio di 450 miliardi di metri cubi di gas all’anno della Ue, di cui 150 miliardi provenienti dalla Russia, ne viene a mancare una quota tra 50 e 100 miliardi. Questi tagli hanno scatenato una serie di reazioni: chi non trova il gas e deve onorare contratti perché lo ha già venduto, compra a qualsiasi prezzo. La corsa a riempire gli stoccaggi a sua volta alimenta ulteriormente la domanda. E poi c’è un terzo fenomeno degli ultimi mesi, chiamato dai tecnici come problema di marginazione, che rischia ora di far saltare diversi operatori paradossalmente soprattutto se venisse trovato l’accordo sul prezzo al tetto del gas europeo. Intesa che sarebbe un successo epocale se fosse raggiunta, ma che rischia di arrivare in zona Cesarini. E che comunque, una volta che la domanda si è gonfiata a dismisura, non metterebbe più nemmeno al riparo dal rischio di ricorrere ai razionamenti. Ma facciamo un passo indietro e proviamo a spiegare la “marginazione”. Il termine deriva  dalle“margin call”, che stanno a indicare le garanzie chieste da chi gestisce le Borse del gas, non solo il Ttf ma tutti i mercati nazionali del gas. I contratti take or pay prevedono che l’operatore compri gas indicizzato al petrolio o all’Henry Hub, che è il maggiore indice per il Gnl (gas liquefatto); questo gas per essere venduto nei mercati europei deve seguire i prezzi del Ttf. Poiché i venditori di gas si muovono con ampio anticipo rispetto alla consegna, in questa fase molti di essi si trovano ad aver “ipotecato” la compravendita tre anni fa, magari al prezzo di 40 o 50 euro a megawattora. Arrivano quindi a trovarsi in una fase come quella di questi giorni, con prezzi correnti di 300 euro a megawattora (ieri sul Ttf la quotazione ha chiuso in calo del 17% a a 282 euro a megawattora sulla scia dei segnali di apertura al price cap sul gas arrivati dalla Germania). Quello che accade è che le Borse chiedono agli operatori di anticipare cash ogni giorno il differenziale tra il valore fissato nel contratto e i prezzi di mercato, questo per garantire che al momento del settlement dei contratti essi vadano a buon fine. Va da sé che l’operatore dalle spalle forti in termini finanziari regge, i piccoli invece rischiano di saltare. In molti casi questi ultimi sono stati costretti a chiudere i contratti e a concretizzare la perdita ricomprando il gas ai prezzi di mercato per onorare gli impegni. Questo fenomeno sta a sua volta alimentando la domanda di gas facendo ulteriormente salire i prezzi. Se oggi fosse introdotto un tetto al prezzo del gas nella Ue esso funzionerebbe con un limite massimo ai prezzi delle contrattazioni nei mercati europei: non modificherebbe i contratti in essere, ma avrebbe effetti su essi perché molti sono indicizzati al Ttf (buona parte di quelli che trattano il gas che arriva attraverso il Tap in Italia dall’Azerbaijan, ad esempio, e probabilmente una buona metà dei contratti stipulati con la Russia). È chiaro che, per evitare che i fornitori di Gnl vadano a vendere altrove, i paesi Ue dovrebbero sovvenzionare per il gas liquefatto il differenziale tra il tetto e il prezzo di mercato. E ancora: il cap non risolverebbe la questione della forte domanda che resterebbe comunque inevasa e per questo motivo oggi si afferma che anche con il tetto europeo al prezzo del gas non si sfugge dai razionamenti. Più il tempo passa senza trovare una soluzione, più i razionamenti saranno consistenti. Peraltro un cap introdotto ora coglierebbe in mezzo al guardo quei venditori che hanno dovuto chiudere i contratti e ricomprare il gas a quotazioni stellari, con il rischio che molti di loro finiscano in default.

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