STUPIDA RAZZA

giovedì 18 agosto 2022

La fuga dagli Usa coinvolge anche le aziende: da Wall Street i big approdano a Hong Kong

 

Tra i due litiganti, Cina e Usa, il terzo gode. La borsa di Hong Kong, che funziona ancora perfettamente come hub globale, si prepara ad accogliere in massa i transfughi cinesi di Wall Street, non solo le cinque società statali che hanno annunciato il delisting (si veda IlSole24Ore del 14 agosto) spinte dalla pressione americana per far chiarezza nei conti delle quotate, ma tutte le altre duecento che, intanto, devono allinearsi alle durissime leggi cinesi sul trattamento dei flussi di dati sensibili, preliminari alla quotazione all’estero. Hong Kong è pronta ad aprire le porte soprattutto ai pregiati titoli tecnologici e Didi è stata la prima società a imboccare la strada dell’ex colonia inglese trascinando nel precipizio quelle ancora quotate negli Stati Uniti. In contemporanea la Securities and Exchange Commission (Sec) degli Stati Uniti adottava gli emendamenti finali con i requisiti di divulgazione e presentazione della  Holding Foreign Companies Accountable Act, richiedendo alle società che non rispettano le regole il delisting entro tre anni. Così hanno gettato la spugna colossi da 370 miliardi di capitalizzazione di borsa, tra cui China Life Insurance e Aluminium Corporation of China (Chalco), e i big petroliferi Sinopec e PetroChina, che a settembre ritireranno i propri Ads (i certificati di deposito americani). Aumenta anche l’incertezza sul futuro dei colossi tecnologici privati, come quelli dell’e-commerce Alibaba che nel frattempo ha nominato Hong Kong come piazza primaria per le sue azioni e JD.com. La Cina (e Hong Kong, che ha un simile indirizzo, allergico agli audit stranieri) ha goduto per anni di trattamenti privilegiati per favorire l’approdo delle società sui mercati Usa, ma le crescenti tensioni registrate già durante l’amministrazione di Donald Trump hanno accelerato la stretta. Scandali come quello di Luckin Coffee - lo Starbucks cinese, e i suoi fatturati gonfiati - hanno fatto il resto. Anche il dietrofront di Didi, matricola di successo costretta a lasciare la Cina a rotta di collo perchè non in regola con le norme cinesi ha lasciato il segno. Un comunicato della China Securities Regulatory Commission (Csrc), l’autorità di regolamentazione cinese, precisa che il delisting di massa «non influirà sull’uso da parte delle società dei mercati dei capitali nazionali ed esteri per il finanziamento e lo sviluppo». Però lasciando il mercato americano, simbolo della globalizzazione dei mercati finanziari, le società cinesi rinunciano a una base di investitori da 52.500 miliardi di dollari di asset in gestione, rispetto ai 7.100 miliardi della Cina, secondo uno studio del 2020 curato da McKinsey. Ma i soldi in Cina non mancheranno, a Ferragosto la Banca centrale cinese ha tagliato a sorpresa i tassi di interesse, aprendo i rubinetti della liquidità. Una boccata di ossigeno per il settore immobiliare in profonda crisi, ma anche per nuovi investimenti. CBRIC e PBoC stanno effettivamente cercando di offrire una tregua alle banche, obiettivo non facile per una serie di motivi, in primis a causa della crisi della bolla speculativa del mattone. Le famiglie sono con le spalle al muro, la protesta sui mutui non pagati perchè le case o i progetti non sono stati rispettati stava diventando un fenomeno di massa. La Banca centrale ha abbassato i tassi di 10 punti base, al 2,75% dal 2,85%, su 400 miliardi di yuan (59,33 miliardi di dollari) di prestiti a medio termine (Mlf, mediumterm lending facility) a un anno, a fronte di 600 miliardi in scadenza, attuando un’operazione che ha portato a drenare 200 miliardi dal mercato. Al tempo stesso ha iniettato 2 miliardi di yuan con operazioni pronti contro termine (reverse repos) a sette giorni, riducendo al contempo il costo del prestito dello stesso margine di 10 punti base al 2,0%, dal precedente 2,1%. Inevitabilmente questa maggiore liquidità favorirà anche gli investimenti e la raccolta di capitali sul mercato interno, con un vantaggio enorme per Hong Kong, ormai pronta a sostituire Wall Street negli investimenti cinesi all’estero. Bisogna ricordare inoltre che sul versante dell’adeguamento delle aziende alle normative cinesi sulla gestione dei flussi di dati Hong Kong non è considerato Paese estero, il che facilita gli arrivi in Borsa.  

Nessun commento:

Posta un commento