STUPIDA RAZZA

giovedì 18 agosto 2022

cambio di passo, ma IL PARTITO NON PUÒ accelerare

 

P echino introduce linee guida sui criteri Esg per le imprese, assolutamente al passo con le direttive del mondo occidentale. È una decisione che non deve sorprendere. È accaduto lo stesso con la gestione dei diritti di proprietà intellettuale: la Cina si muove prima con cautela, osserva i risultati ottenuti dai Paesi più avanzati e poi si allinea. Questa prospettiva volta ad incentivare il sistema industriale verso i temi ambientali (e sociali) si concilia con un obiettivo di carbon neutrality molto avanti nel tempo: al 2060, ovvero quasi trent’anni dopo quanto promesso dai Paesi sviluppati. Si tratta di una contraddizione solo apparente, che trova una sua spiegazione nella parabola di sviluppo della Cina e nel suo essere autocrazia a trazione centralizzata. Se è infatti vero che l’ex Impero di Centro rappresenta la causa principale delle emissioni di gas serra su scala globale (oltre il 30% dell’anidride carbonica immessa in atmosfera è infatti di matrice cinese) e larga parte (65%) della produzione di energia elettrica deriva dal carbone, le emissioni inquinanti pro-capite sono ancora oggi inferiori a quelle di molti Paesi avanzati (meno della metà di quelle americane) nonché il reddito a livello individuale è ancora quello di un Paese in via di sviluppo. Questo per evidenziare che il Partito Comunista Cinese non può permettersi di accelerare troppo sul fronte ambientale a meno di impattare negativamente sul fronte della crescita economica con implicazioni rilevanti sul fronte del consenso interno. Vista la rilevanza delle politiche verdi di Pechino per il futuro del Pianeta – giova ricordare che negli ultimi 10 anni il volume totale delle emissioni di CO2 di Pechino è stato doppio rispetto a quello di Washington -, è importante chiedersi se la Cina abbia un effettivo interesse a migliorare le prestazioni ambientali o se stia conducendo solo operazioni di facciata. La risposta è, a mio avviso, affermativa; l’interesse c’è in quanto il miglioramento della qualità dell’ecosistema sta diventando sempre più uno dei pilastri su cui si regge il patto sociale tra Partito Comunista e popolazione: se prima la legittimazione del Partito passava esclusivamente dalla crescita economica, oggi il miglioramento della qualità dell’aria è infatti al centro delle attenzioni dei cinesi. Per quanto la Cina abbia dichiarato recentemente di voler interrompere il dialogo con gli Usa sui temi ambientali – a seguito della visita di Nancy Pelosi a Taiwan – Usa e Europa possono d’altro canto esercitare una qualche influenza sulla velocità con cui Pechino si impegnerà a ridurre il proprio carico ambientale: adottando un atteggiamento coopetitivo. La Cina nei prossimi anni avrà ancora molto bisogno di un elevato grado di interconnessione commerciale con i Paesi occidentali; in questa prospettiva, il dialogo strategico con il Dragone deve combinare la dimensione economica con quella ambientale per massimizzare la possibilità di giocare un effetto leva sul fronte negoziale (cooperazione). Dall’altro lato, sarebbe particolarmente utile che la coalizione dei Paesi occidentali introducesse un sistema di tassazione di beni e servizi (anche cinesi) in corrispondenza del livello di impronta ambientale a questi associato (competizione). Insomma, possiamo evitare di essere pessimisti: ma serve che dalle nostre parti si affermi un fronte unito e caratterizzato da idee molto chiare. 



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