Economia in frenata, tassi in aumento e margini di profitto in calo. Potrebbe essere un cocktail piuttosto indigesto, forse addirittura anche letale, quello che molte aziende europee rischiano di dover mandare giù nei prossimi mesi che si preannunciano già ad alta tensione. Per questo motivo gli analisti di S&P Global Ratings si attendono che il tasso di insolvenza fra gli emittenti di grado speculativo (high yield, con giudizio cioè inferiore alla «Tripla B») possa addirittura quasi triplicare nel giro di un anno, passando dall’1,05% dello scorso giugno al 3 per cento. Se la previsione si avverasse sarebbero ben 24 le aziende costrette a portare i libri in tribunale delle 790 che l’agenzia di rating segue a livello Continentale (54 delle quali italiane), ma non si tratterebbe di un vero e proprio allarme. La stessa S&P sostiene infatti da una parte che «i rischi rimangono sostanzialmente invariati rispetto al primo trimestre». Occorre poi considerare che livelli del genere sarebbero ancora sensibilmente inferiori ai picchi registrati in conseguenza del crack Lehman (allora si raggiunse il 9%) o subito dopo lo scoppio della pandemia (6%), ma anche in linea con la media storica (3,2%). Certo, lo scenario di base degli analisti - che assegnano il 35% di probabilità al verificarsi di una recessione in Europa nei prossimi 12 mesi - potrebbe anche volgere al peggio. Se i venti contrari dovessero aumentare e lo stop alla crescita si rivelasse «profondo o prolungato», il tasso di insolvenza sarebbe infatti destinato ad aumentare in modo più aggressivo e raggiungere il 5% entro giugno 2023. In modo del tutto speculare, S&P valuta però anche le possibilità che il conflitto Russia-Ucraina «si concluda nei prossimi mesi, le sanzioni vengano rimosse poco dopo e l’inflazione si raffreddi a sufficienza per limitare la portata delle future strette di politica monetaria»: uno scenario ottimistico, insomma, in cui il livello di default si limiterebbe a un ben più modesto 1,25 per cento. Al di là degli shock tipicamente esogeni e dagli sviluppi quindi meno
prevedibili, S&P pone gli emittenti
speculativi europei su un gradino
leggermene superiore rispetto a
quelli degli Stati Uniti, dove i rischi
risultano maggiori, a partire da
quello di recessione. I tassi Euribor,
al quale sono legati la maggior parte
dei prestiti a tasso variabile contratti
dalle aziende high yield europee, sono sì recentemente aumentati riportandosi su valori positivi, ma restano sensibilmente al di sotto dei Libor Usa e offrono ancora spazi di
manovra maggiori. «L’ammontare
di debito di qualità speculativa complessiva in scadenza fino al 2023 è
ancora relativamente basso, pari a
111,7 miliardi di euro», nota inoltre
l’agenzia, che ritiene anche «appropriata» la sua valutazione di mercato, ovvero i rendimenti offerti a confronto dei titoli free-risk.
Punto chiave per capire verso quale dei tre scenari potrà evolvere la situazione attuale è la capacità dei consumatori di continuare a sostenere la
domanda a fronte all’aumento generalizzato dei prezzi, in primo luogo di
quelli legati all’energia. «Questa sarà
senza dubbio messa alla prova entro
la fine dell’anno con l’abbassamento
delle temperature e l’aumento del
fabbisogno di riscaldamento domestico», avverte S&P, ricordando come
gli emittenti di grado speculativo siano particolarmente vulnerabili sotto
questo aspetto poiché appartengono
in gran parte a «settori che dipendono dal comportamento dei consumatori, come i media e l’intrattenimento,
i produttori di generi di consumo o le
aziende legate alla vendita al dettaglio e alla ristorazione». Per loro la
sfida sarà ancora più complessa.
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