STUPIDA RAZZA

lunedì 29 agosto 2022

Prezzi dell’energia sempre più alti e non è finita: famiglie e imprese ormai alle corde

 

La sfida autunnale alle porte sarà quella di riuscire a calmierare gli aumenti esponenziali dei costi di gas ed elettricità che stanno mettendo alle corde famiglie e imprese. Ma il rischio è che sia la recessione a mettere un freno ai rincari. Molte le attività in pericolo. Al momento, però, in Italia, la domanda si mostra sorprendentemente rigida rispetto ai prezzi. Gli adeguamenti trimestrali di aprile e luglio sono stati mantenuti fermi dall’intervento dell’esecutivo, che sta preparando nuove misure e che dovrà stanziare più risorse in futuro per ottenere lo stesso risultato. È passato un anno dall’inizio della crisi. Era l’agosto 2021 e i mercati cominciavano a prendere sul serio le avvisaglie degli americani circa un’anomala concentrazione di truppe russe al confine con l’Ucraina. Impossibile, diceva la gran parte degli analisti in Europa e anche oggi l’invasione del 24 febbraio ha dell’incredibile. Invece, è tutto vero. I prezzi del gas erano schizzati a 27 euro/MWh e sembrava uno shock dopo i minimi di 6 euro del maggio 2020, in piena pandemia. In questi giorni abbiamo superato i 320 euro e gli stessi mercati, che ci avevano un po’ preso, sono tacciati di speculazione, del resto normale quando le quotazioni salgono di oltre dieci volte in meno di un anno. Due anni fa quando eravamo a 6 euro e i produttori, fra cui Gazprom, si lamentavano che non riuscivano a coprire i costi, nessuno parlava di speculazione. I mercati segnalano che quest’inverno rischiamo di rimanere senza volumi fisici e quando le temperature saranno sotto lo zero, molti consumatori, al margine, saranno disponibili a pagare anche 700 euro pur di non rimanere senza gas. Il legame gas elettricità, molto solido già prima, si è rafforzato, con prezzi sulla borsa elettrica che in questi giorni hanno raggiunto il record storico, anche questo oltre dieci volte quei valori che fino a due anni fa erano considerati alti. È una spirale che non trova freno, un tipico caso scolastico di un mercato di materie prime che, non potendo contare su scorte abbondanti e con una prospettiva di ammanco fisico, ha fatto saltare qualsiasi limite. La spinta è poi aggravata dalla scarsa liquidità del meccanismo di fissazione dei prezzi che avviene prevalentemente sulla borsa di Londra, l’Intercontinental Exchange (Ice), con consegna fisica virtuale sul sistema del gas olandese, attraverso il Tittle of transfer facility, il Ttf. Poi c’è anche la borsa Eex di Leibnitz in Germania, più legata al mercato informale, fuori borsa e l’Over the counter, l’Otc, quello scarsamente regolamentato, anche questo con sede più a Londra, dove operano trader anche loro spaventati dalla confusione che hanno combinato. Sono consapevoli che una fine del Ttf non è poi un’ipotesi oggi così remota, sia per intervento della politica, ancora molto lontano, sia per l’intrinseca autodistruzione che si profila. Trader tedeschi, inglesi, olandesi, tutti uniti assieme all’industria del gas norvegese e olandese, hanno avuto fino a oggi facile gioco nell’ostacolare qualsiasi tipo di idea circa un tetto al prezzo del gas. A questo si è aggiunta la Commissione europea che da anni si affida solo all’associazione dei regolatori dei mercati, Acer, caratterizzata da una sorta di integralismo circa l’incontestabile efficienza dei mercati, fra cui quello del Ttf. Ormai potrebbe essere tardi anche per parlare di un tetto, visto che l’idea è partita quando eravamo a 80 euro e fissarlo ora è un po’ complicato visto che Norvegia, Olanda, i nostri vicini poco attenti, oltre ad Algeria, Azerbaijan, Qatar e Stati Uniti dovrebbero rinunciare a decine di miliardi di ricavi che noi andremo a pagare nei prossimi mesi e che ci causeranno, se così continua, una pesante recessione. Che questi non ci aiutino, di fronte a una crisi causata dalla guerra, è ingiusto e anche miope, perché una recessione europea colpirà anche loro. L’accelerazione dei prezzi di questo agosto, dell’ordine del 60%, disegna uno scenario a dir poco spettrale per l’autorità dell’energia italiana che a fine settembre dovrà decidere le nuove tariffe per le famiglie valide per l’ultimo trimestre del 2022. Gli ultimi adeguamenti trimestrali di luglio e di aprile sono stati mantenuti fermi grazie a un massiccio aiuto del governo che ha stanziato risorse, grazie al buon andamento delle entrate, e trovato escamotage, come la tassa sugli extraprofitti. E il governo si prepara a varare nuove misure ma gli ultimi aumenti rendono necessarie risorse ben superiori rispetto al passato. Il problema maggiore, però, riguarda le imprese le cui fatture ricevute a luglio erano superiori di quattro o cinque volte rispetto ai valori di un anno prima. E a settembre ci sarà un ulteriore balzo. Quelle che possono godere di mercati con domanda più rigida, perché vendono prodotti più sofisticati a più alto valore aggiunto, possono scaricare a valle gli aumenti dell’energia. In questi casi l’incidenza delle spese dell’energia era dell’ordine del 2-3% e se passa all’8-10% la questione può essere gestita. Diverso è il discorso per chi consumava molta energia, con un peso sul fatturato superiore al 15-20%: per loro il rischio chiusura è alto. Anche quelle attività a bassa intensità energetica, ma che operano in settori ad alta competitività con bassi margini, come nel commercio, nel turismo, o nella ristorazione potrebbero essere costrette a chiudere. Sarà in sostanza vento di recessione, quella che può portare calo della domanda e fermare gli aumenti, perché finora i consumi non hanno fatto segnare crolli. In Italia i consumi di gas in giugno sono stati inferiori solo del 2% rispetto allo stesso mese di un anno prima, mentre quelli elettrici di luglio sono stati addirittura in aumento del 2%, variazioni che evidenziano una sorprendente rigidità della domanda ai prezzi. Solo la recessione può frenare i consumi, ma possiamo contare che sarà una frenata momentanea, perché di gas ne arriverà parecchio, ma con i soliti tempi, che sono quelli necessari per costruire infrastrutture, come impianti di liquefazione, pozzi di produzione, impianti di rigassificazione. La produzione nazionale italiana potrà forse riprendersi nei prossimi mesi, ma se aumenterà di mezzo miliardo di metri cubi, sarà già un ottimo risultato. Occorre che il nuovo governo cestini il Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) e ritorni alle regole precedenti, fra le più garantiste al mondo per l’ambiente, per eliminare il delitto economico del mancato sfruttamento delle risorse nazionali. Fra queste ci sono anche le fonti rinnovabili, quelle che tutti vogliamo più sviluppate, ma che fanno un’immane fatica, non solo per le sovrintendenze, ormai diventate capro espiatorio di difficoltà più serie di carattere fisico. Cresceranno ancora nei prossimi mesi, ma il loro contributo sarà marginale. Comunque ben vengano. I prezzi stanno spingendo sul tasso d’inflazione che a fine anno supererà il 10% per la prima volta dal 1984, ma non è escluso che continui la sua corsa verso anche il 15% se continuerà la salita dei prezzi di gas e elettricità. Chi ci rimette di più è l’Italia, che con inflazione più alta soffre i tassi di interesse per il suo gigantesco debito. Anche qui si sprecano le accuse di speculazione contro il debito dell’Italia, un paese che ha smesso di crescere dal 2008 e che mette oggi in evidenza la sua incapacità di risolvere debolezze strutturali che durano dalle crisi degli anni 70. Di questo è bene che il nuovo Parlamento sia consapevole e, ancor prima, chi lo voterà.

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