STUPIDA RAZZA

venerdì 19 agosto 2022

Per sostenere il superdebito meno spesa

 

Il debito pubblico cresce più o meno agli stessi livelli del Pil, ma con le entrate fiscali che aumentano quattro volte tanto diventa insostenibile. L’unica soluzione è tagliare la spesa pubblica.Sulle prospettive economiche che peraltro, al di là delle schermaglie fiscali, sembrano assenti dalla campagna elettorale incombe un gigantesco punto interrogativo: il debito italiano è sostenibile senza riduzione di spesa? Gli ultimi dati non rincuorano. Ha comunicato la Banca d’Italia che a giugno si è raggiunto il record di 27 6 6,4 miliardi di euro di debito. Dall’inizio dell’anno è salito di 52 miliardi al ritmo di 288 milioni al giorno. Si era osservato facendo un primo consuntivo del governo Draghi che l’aumento assai significativo del debito che si era avuto per tutto il 2021 (D ra - ghiè entrato a palazzo Chigi il 13 febbraio e a fine mese il debito era a 2640 miliardi, ha oggi l’aumento è di 126,4 miliardi) era anche un effetto del trascinamento dei provvedimenti anti-Covid presi dal precedente esecutivo. Ma il debito ha continuato a lievitare anche nell’anno in corso e pare non conoscere argine. In sei mesi è aumentato dell’1,9%, il Pil – così certifica l’Istat – è atteso crescere a fine anno del 2,6%, ma nel secondo trimestre di ques t’anno ha fatto appena un uno per cento di aumento. Il che significa che il debito cresce a una velocità non così inferiore rispetto al Pil. Ma c’è un terzo elemento: è il conto che il Fisco presenta all’economia nazionale. Le entrate fiscali aumentano a un ritmo quattro volte superiore alla creazione di Pil. Nel primo semestre dell'anno - ha calcolato Bankitalia - le entrate tributarie sono state pari a 218,1 miliardi, in aumento dell’11,9% (23,2 miliardi) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Per avere un’idea a giugno il debito è cresciuto di 11,2 miliardi, le entrate tributarie sono state pari a 36,0 miliardi, in aumento del 10,4% (3,4 miliardi) rispetto allo stesso mese del 2021 mentre sul fronte della produzione industriale l’indice destagionalizzato si contrae del 2,1% e l’Is tat commenta: «A giugno si rileva, per il secondo mese consecutivo, una flessione congiunturale dell’indice destagionalizzato della produzione industriale. La dinamica negativa è estesa a quasi tutti i settori, con l’e c c ez io n e di quello dell’e n e rg i a » . FATTORE ENERGIA Quindi se depurassimo il dato da quello dell’energia la caduta sarebbe ancora più acuta. Tant’è che nella sua nota l’Istat osserva che anche in termini tendenziali la produzione è in diminuzione. Gettando lo sguardo sulla situazione dell’ec onomia nazionale con traguardo dicembre l’istituto di statistica nella sua nota congiunturale osserva: «Il Pil continuerà a crescere nel 2022 e nel 2023, anche se a un ritmo nettamente inferiore a quello del 2021, grazie soprattutto alla spinta degli investimenti», mentre la crescita delle retr i bu z io n i e dei redditi in generale sarà di fatto azzerata dall’i n f l a z io n e. Ma se le cose stanno così viene da chiedersi dove si troveranno le risorse per rendere sostenibile il debito. Entra in gioco un altro parametro che è la spesa pubblica. Secondo uno studio della Cgia di Mes tre già lo scorso anno ha sfondato i mille miliardi di euro attestandosi a 1.007. Secondo al contabilità dello Stato l’aggregato di spesa pubblica è stato di 984 miliardi. La differenza tra le due stime è di 23 miliardi. Ma un dato emerge prepotente: quanto lo Stato e di gran lunga sia oggi il primo soggetto e c o n o m ic o. STIMA CGIA Prendendo per buona la stima di Renato Mason della Cgia nel 2021 lo Stato ha intermediato il 56,7% del Pil, se si prende il dato della contabilità generale la percentuale è del 55,4. Ma l’e l e m ento preoccupante è che il totale delle spese correnti ammonta a 893,4 miliardi, di cui 129,4 per la spesa sanitaria. Sostanzialmente lo Stato spende l’ammontare di 4 Pnrr in un anno per tenere aperti gli uffici, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, per le pensioni e per erogare i servizi. Sono quasi 3 miliardi al giorno con un debito che – te n e n - do conto soltanto del periodo gennaio-giugno 2022 – c re - sce di 288 milioni di euro al giorno. Questi elementi tracciano per il 2022 un quadro che se fosse confermata la crescita del Pil al 3% come stimato dal ministro dell’economia Daniele Franco nel Def comunque produrrebbe un rapporto spesa-Pil al 55,6% e un rapporto debitoPil al 151,4 con una pressione fiscale al 43,1 % al lordo del sommerso - il netto la porta vicina al 50% - prendendo per buona la dichiarazione di Mario Draghi che si è impegnato a raffreddarla di uno 0,4 rispetto al record che il suo governo ha segnato nel 2021. Da queste cifre si evince che il settore privato per consumi, investimenti e risparmio in Italia su un Pil atteso per fine anno a circa 1827 miliardi (sempre confermando le attese del Def che appaiono in questo momento lontane) ha disponibilità di circa 811 miliardi. È questo il rebus che si trova di fronte chi dovrà scrivere la prossima legge finanziaria: come ridurre la spesa pubblica allentando la pressione fiscale per liberare risorse da destinare alla crescita in modo da ridurre l’impatto del debito. Un impatto che potrebbe essere mitigato, in maniera distorsiva, dall’inflazione che resta altissima (l’Istat la stima per fine no al 6,4% ma attualmente è al 7,9 con quella alimentare che viaggia verso il 14%) ma sarà certamente acuito dalle manovre sui tassi che la Bce ha già iniziato e che mantenendosi elevati i tassi inflattivi non possono che continuare diventando più severe. RIFORME FISCALI Tuttavia si sente molto parlare in questa campagna elettorale di possibili riforme fiscali, peraltro non rinviabili dacché diventa difficilmente giustificabile che a fronte dell’economia in frenata le entrate tributarie abbiano incrementi a doppia cifra, ma pochissimo di possibili risparmi di spesa. E allora viene in mente uno scritto di Carlo Cottarelli, ora candidato col Pd che di tagli di spesa proprio non parla, ma semmai di nuove imposte come la patrimoniale successoria per dare una dote ai diciottenni, del 2018 quando affermava: «C’è chi sostiene che un aumento della spesa pubblica (o un taglio della tassazione) possa portare a un aumento del Pil e quindi delle entrate fiscali di tale entità da compensare l’iniziale espansione fiscale, determinando così un miglioramento del saldo di bilancio. Nel contesto del modello keynesiano, ciò non è possibile a meno che l’a liquota di tassazione sia superiore al 100 per cento; oppure il settore privato abbia una propensione alla spesa rispetto al proprio reddito superiore a uno, ossia se aumenta il reddito disponibile del settore privato di 100 la spesa privata aumenta di più di 100. Entrambe le condizioni sono palesemente irrealistiche». O forse no. Perché in Italia ci sono molti che pensano che arrivare ad una tassazione del cento per cento sia possibile. Il traguardo come si vede dai numeri non è poi così lontano.



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