STUPIDA RAZZA

venerdì 30 settembre 2022

Bollette elettriche +59% da ottobre È rischio desertificazione industriale

 

Il responso d el l’Arera sugli aumenti delle bollette elettriche si può sintetizzare con un solo termine: drammatico. Ieri l’autorità che regola il mercato dell’energia ha diffuso l’aggiornamento dei prezzi per l’ultimo trimestre dell’anno. Dal primo ottobre scatterà un ulteriore aumento del 59%, che porterà il costo medio per famiglia spalmato su l l ’anno solare a 1.322 euro, contro i circa 600 del 2021 e i 487 del 2020. A spanna i costi sono triplicati in tre anni e questo nonostante gli interventi e gli incentivi del governo. L’Arera ha infatti spiegato che il trend è stato mitigato dai vari decreti Aiuti e, per quanto riguarda i futuri aumenti, anche da un intervento della stessa authority che ha azzerato le componenti che vanno sotto la voce «oneri di sistema». Il presidente Stefano Bass eg h i n i ha chiesto poi di prolungare il termine del mercato tutelato a oltre gennaio 2023, per non avere altri aumenti. Vale la pena notare che il 59% di ulteriore aumento riguarda solo le bollette elettriche, che pur influenzate dall’andamento del gas, sono comunque meno bollenti di quelle del riscaldamento. Per essere consapevoli dell’u l te - riore batosta dovremo aspettare il primo novembre, quando Arera aggiornerà anche i valori del gas. Intanto, si possono già vedere i cocci del sistema produttivo. L’Istat ha diffuso i dati dei costi della produzione industriale. I dati sono riferiti ad agosto e segnano una crescita del 40% rispetto ad agosto 2021. L’impennata è guidata dall’inflazione, ma ancora non tiene conto dei dati diffusi ieri dall’Arera. Quando arriveremo a fine anno la situazione sarà ancor più drammatica e rischierà di scivolare tra insolvenze e desertificazione indu s tr i a l e. Dal lato famiglie, infatti, le utility già sanno che il 30% degli utenti non pagherà. Da qui l’idea di inviare mensilmente le note di pagamento. Serve solo a spalmare i crediti. Per un periodo più lungo. Anzi lunghissimo. Se si guarda il periodo di competenza del decreto energy release, partorito dal Mite, si vede che si arriva addirittura al 2025. Ne deriva che operatori e governo già sanno che ci vorranno non meno di tre anni per u s c i r n e. Senza per giunta contare gli altri effetti della crisi energetica. L’ondata di sofferenze impatterà sulla qualità del credito, mentre il continuo aumento dei costi della produzione renderà insostenibile per molti imprenditori tenere aperte le saracinesche. Ciò vale per i piccoli ma anche per i grandi industriali. L’associazione che li raggruppa a livello Ue ha scritto una lettera ieri ai vertici di Bruxelles. L’obiettivo è segnalare nel corso degli ultimi 9 mesi si è persa la metà della capacità produttiva dell’acciaio. Il 70% della produzione di fertilizzanti è stato interrotto o posposto. «Il rischio reale», prosegue il testo, «è che una gran fetta delle imprese si trasferisca fuori dal Vecchio Continente per poter continuare a stare sul mercato» o semplicemente per poter rimanere ap e rte. In pratica, ciò che dicono gli imprenditori è che ci sarà una prima fase di concorrenza interna. Gli Stati con un minor costo dell’energia attireranno le aziende delle nazioni dove il kilowattora è insostenibile. Poi l’effetto si sposterà. E allora a chi produce acciaio, laminati, ma anche componenti dell’autom ot ive converrà fare armi e bagagli e spostarsi in India o anche negli Stati Uniti o in Brasile. Il discorso vale pure per l’Ita l i a . Anzi, vale soprattutto per il nostro Paese. Il che ci riporta al grosso tema della sostenibilità del debito con un Pil che necessariamente è destinato a scendere. Tra l’altro la prossima primavera ci porterà a un difficile bivio. Scarsità di beni come durante l’Un io n e sovietica o import selvaggio di merci cinesi? La guerra in Ucraina ha spezzato gli equilibri dell’ultimo ventennio e la Cina si appresta, dopo aver giocato d’azzardo con il Covid e aver usato i lockdown per strozzare la catena del valore, a dare il colpo finale. Se la loro scommessa dovesse riuscire, avranno un yuan molto debole e accumulato ingenti riserve di materie prime. Al contrario, le aziende europee dovranno necessariamente bloccare (anche solo in parte) la produzione dei beni. Il razionamento programmato eviterà lo choc dei blackout fuori controllo, ma imporrà comunque un rallentamento delle fabbriche. Altre strozzature che faranno salire i prezzi e quel punto saranno gli Stati europei a chiedere ai cinesi in ginocchio più merci. Per evitare che la spirale ci travolga, rischieremo di diventare succubi del Dragone. Il problema è principalmente nostro. Gli Usa infatti si preparano da tempo, già dal periodo di Donald Trump, a tale eventualità. La pratica del reshoring (riportare in patria la produzione) è stata poi implementata dai Dem grazie anche alla crescita della richiesta del gas naturale liquido. Al contrario il Vecchio Continente si trova nella crisi energetica che tutti conosciamo e al momento continua a insistere sulla strada delle rinnovabili. Altro elemento che ci riporta al predominio cinese del mercato. Pannelli solari e batterie elettriche sono imprescindibili dalle componenti cinesi. Sarà complicato uscire da questa crisi. Sicuramente tutti gli europei saranno più poveri fra tre anni. Seguire le linee guida di Bruxelles fino a oggi ha creato ancor più disagio. Basti pensare che fino a sette mesi fa i vertici del Continente negavano addirittura di essere di fronte a problemi strutturali. Da Christine Laga rd e a Ursula von der Leyen, prima o poi qualcuno dovrebbe risponderne.

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