Il governo italiano temporeggia ancora. Ma alla vigilia del vertice Ue sul gas che si terrà domani iniziano a scoprirsi le carte della Commissione. Tasse, razionamenti e dirigismo che possono solo peggiorare la situazione. E dall’Eurogruppo filtra il pizzino: c’è il Mes da ratificare.«Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io». Alla fine è vero che la parola popolare ci azzecca sempre. Ieri, alcune agenzie di stampa hanno diffuso una delicatissima velina. «Noi ci attendiamo» che l’Italia ratifichi la riforma del Mes, «è un impegno preso dalla Repubblica italiana». Lo avrebbe fatto trapelare un alto funzionario dell’Ue , precisando - figuriamoci - di non voler speculare sull’esito del voto in Italia. L’Eurogruppo inoltre confida - si capisce dalla velina - di chiudere la pratica per la nomina del nuovo direttore del Mes in occasione della riunione di Praga ma «se ciò non dovesse accadere non è un dramma. Ci siamo mossi con largo anticipo». Il riferimento è anche al meccanismo del quorum e al fatto che ormai siano rimasti due candidati a prendere il posto del tedesco Klaus Regling, l’ex ministro delle Finanze portoghese Joao Leao e l’attuale del Lussemburgo, Pierre Gramegna. Quello che è certo è che entrambi la pensano come la fonte anonima e quindi che l’Italia dovrà adeguarsi al meccanismo di stabilità se vorrà in alcun modo ricevere fondi. Per cosa? Per emergenze energetiche, pagare le bollette, evitare che le aziende finiscano nella lista «insolvenze». Appare chiaro che la ritrosia di Mario Draghi a dare il via allo scostamento di bilancio non debba essere considerata come una ripicca personale, ma come una linea politica. Non sua, ma europea. La velina di ieri è quindi diretta all’eventuale nuovo premier, Giorgia Meloni. All’inizio di dicembre 2020, la numero uno di Fdi aveva inviato una lettera al nostro quotidiano. Mancava una settimana esatta al passaggio in Aula del Mes e all’eventuale ratifica. La M el o n i ribadì il suo «no». «In questi giorni, mentre tutta l’attenzione è rivolta al fantomatico “Mes s a n i ta r io” - quello che secondo alcuni ingenui regalerebbe all’Italia 37 miliardi - con un eccezionale colpo di destrezza le burocrazie europee rimettono sul tavolo il dibattito della “r i fo r m a del Mes” ormai accantonata da molti mesi», scriveva la segretaria Fdi. «L’ok dell’Eurogruppo alla riforma, con il voto favorevole del nostro ministro (Rob erto Gualtie ri , ndr), arriva come una doccia gelata. La riforma del Mes», concludeva, «era immotivata e irricevibile già prima della pandemia». Il 9 dicembre 2020 andò come aveva previsto la M eloni e la posizione dei 5 stelle cambiò drasticamente rispetto a quella del 2018. Con il risultato che Gua ltieri portò a casa un mezzo risultato e un mezzo ok. Esattamente quello a cui si appella la fonte anonima dell’Ue. Solo che adesso la situazione è ben diversa. O, per essere più precisi, è ben peggiore. L’inflazione è sopra al 9%. Il debito pubblico è salito ulteriormente e il rischio di vedere fallire aziende e imprese che non riescono a sostenere la corsa dell’energia è concreto. Uno studio ha dimostrato che il Vecchio Continente vede esposti alle insolvenze 1.500 miliardi di patrimoni. E qui scatta l’altro lato della medaglia. Domani, mentre a Praga si discuterà di Mes, il Consiglio avvierà la trattative per il salvataggio del comparto energetico e il sostegno contro il caro bollette. Ursula von der Leyen ha fatto capire che il tetto sarà su l l ’elettricità non prodotta da gas (per noi è il 30% dei consumi) e che per sostenere lo schema verranno inserite nuove tasse, sia sulle rinnovabile sia sui fossili. Per noi un suicidio assistito e un pericoloso tracollo di liquidità. Nel frattempo si attende la decisione odierna della Bce, altro pilastro della politica comunitaria. Lo stop progressivo agli acquisti dei titoli di Stato e il forte rialzo dei tassi ci porterà ad avere aziende con marginalità ancor più sottili e debito più costoso da sostenere. Senza contare che andare sul mercato con i nostri Btp sarà caro. Più caro che per tutti i partner eu ro p ei . Per questo sarebbe stato inventato il nuovo meccanismo Transmission protection instrument, sigla Tpi. Peccato che lo schema degli aiuti lasci aperte fin troppe finestre e numerosi criteri che toccano la componente politica dell’Unione europea. Vale per i parametri di attivazione, per la possibilità di accedere allo schema di aiuti e infine per la decisione di attivare il Tpi. In pratica, l’entità degli acquisti dipenderà dalla gravità dei rischi che incombono sulla trasmissione della politica monetaria. A decidere sarà ovviamente il board della Bce, il quale valuterà su quali Paesi intervenire e su quali titoli. Questo solo nel caso in cui i governi «perseguano politiche fiscali e macroeconomiche sane e sostenibili». Fra queste il rispetto dei parametri di bilancio dell’Ue, l’a s s e nza di gravi squilibri macroeconomici, la sostenibilità di bilancio e l’attuazione di politiche sane e sostenibili. Ed è su questi quattro argomenti che la Bce dovrà a sua volta passare la mano al Consiglio e alla Commissione. Basterà non rispettare i parametri del Pnrr oppure le indicazioni di natura economica di Bruxelles per trovarsi al di fuori dell’o m b re llo del Tpi. E qui siamo al paradosso. Il Pnrr è stato pensato con l’inflazione al 2%. Chiedere di rivederlo (scelta tecnicamente possibile) è semplice politica del buon padre di famiglia. Le risposte sono invece negative. Non si può nemmeno utilizzare per intervenire sulla crisi energetica. Ecco che con i tassi in salita ripida e il Pnrr nel fosso è facile pensare che la Bce ci risponderà picche anche sul Tpi . A quel punto resterebbe il Mes. E il paradosso arriverebbe alla soglia del ridicolo se non fossero drammatico. Un prestito con condizioni in grado di affossare qualunque scelta politica di bilancio per 20 anni, che nasce ufficialmente per fare debito «buono» per le infrastrutture potrebbe finire col vestire le forme del cappio ed essere usato per un argomento che è spesa corrente per definizione: l’energia. Ecco perché viene da chiedersi chi siano davvero i nostri alleati.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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