STUPIDA RAZZA

lunedì 26 settembre 2022

Il dollaro forte spinge l’inflazione

 

L e ultime settimane hanno registrato un inasprimento della stance di politica monetaria delle banche centrali mondiali. Nonostante il ritracciamento prolungato del prezzo del petrolio e dei beni alimentari primari, l’inflazione continua a peggiorare proprio nella parte core (al netto di energia ed alimentare). Pochi giorni fa la Riksbank svedese ha innalzato i tassi di interesse di ben 100 punti base, mentre la Federal Reserve (FED) si è “limitata” a un incremento di 75 punti base per il terzo meeting consecutivo. Sia la Banca Centrale Europea (BCE) che quelle degli altri Paesi OCSE stanno seguendo con un nuovo round di rialzi consistenti.N onostante siano passati solo 15 mesi dall’avvio di questo ciclo restrittivo, l’intensità degli interventi delle banche centrali a livello globale risulta la più elevata mai registrata, con una sincronia perfetta tra diverse aree geografiche. Sono state varate oltre 100 misure di politica monetaria restrittiva dall’inizio del 2022, un ammontare superiore allo sforzo espansivo che ha seguito la crisi pandemica del 2020 e paragonabile alla reazione che seguì la crisi finanziaria del 2008-2009. Inoltre si osserva la tendenza sincronizzata ad un progressivo inasprimento fiscale, con l’eliminazione dei trasferimenti di emergenza al settore privato ed un aumento graduale della pressione fiscale. Nel 2023 si prevede per i Paesi OCSE la convergenza dei deficit di bilancio ai livelli pre-pandemia (mediamente al 3% del PIL), dopo un picco temporaneo nel 2020 ad oltre il 10% del PIL. Utilizzando uno specifico indicatore elaborato dalla World Bank che misura la restrittività delle politiche fiscali al netto del ciclo economico (in base alle variazioni del saldo strutturale), si osserva che nel 2023 l’indice di restrittività dovrebbe raggiungere il suo valore record, mai osservato nei 30 anni disponibili di serie storica. Gli effetti di questa sinergia tra politiche fiscali e monetarie restrittive varate in un arco di tempo ristretto vanno valutati nell’ottica di una stretta interdipendenza tra le macro-aree dell’economia globale. Nessun Paese è immune agli effetti negativi delle politiche restrittive altrui, ma li subisce in misura proporzionale all’apertura della propria economia agli scambi globali. Il meccanismo di trasmissione principale resta il tasso di cambio rispetto alla valuta di riserva mondiale, il dollaro USA. Poiché i beni energetici sono prezzati in dollari insieme a gran parte dei volumi di beni scambiati sui mercati internazionali, un dollaro forte amplifica eventuali shock inflazionistici per il resto del mondo. Le banche centrali di economie che hanno un interscambio significativo in termini di volumi di import/export con gli USA o che sono fortemente dipendenti da importazioni di prodotti energetici sono condizionate de facto a seguire la politica monetaria della FED. In questa maniera lo shock inflazionistico in parte rimbalza indietro verso i Paesi con cui si ha un interscambio commerciale più fitto. In un contesto di rialzi rapidi e coordinati come quello attuale, l’effetto cumulato in termini di rallentamento del PIL, dei volumi esportati e dell’occupazione può essere maggiore del preventivato. Secondo le stime della World Bank una grave crisi globale nel prossimo futuro ritarderebbe di circa 7 anni il raggiungimento di livelli di PIL che sarebbero stati ottenibili già nel 2024 (stime di gennaio 2020).

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