STUPIDA RAZZA

venerdì 30 settembre 2022

«Dal cambiamento climatico nuove malattie, prepariamoci ad affrontare le crisi sanitarie»

 

Quando fu creata, un anno fa, la nuova autorità europea preposta a prevedere e a gestire le crisi sanitarie (nota con l’acronimo HERA) era stata accolta per lo più con una alzata di spalle. L’attenzione era tutta rivolta alla pandemia da coronavirus, in piena evoluzione. Dodici mesi dopo il nuovo organismo è già in prima linea, alle prese con il vaiolo delle scimmie e le minacce nucleari russe, mentre il cambiamento climatico è fonte di nuove e inattese malattie. «In questa fase, il nostro compito è doppio: gestire la crisi Covid, non del tutto terminata, e prepararci alla prossima emergenza – spiega il direttore di HERA, Pierre Delsaux a un gruppo di giornali europei tra cui Il Sole 24 Ore –. Sì, perché non possiamo dire con certezza che si siamo lasciati alle spalle la pandemia da coronavirus. Non si può escludere una nuova ondata di contagi». L’opinione contrasta con quella del presidente americano Joe Biden che ha annunciato all’inizio di settembre la fine dell’epidemia. Proposto dalla Commissione europea, il nuovo organismo è nato il 1° ottobre 2021. Ai tempi aveva una decina di funzionari. Oggi punta a chiudere il 2022 con 85 dipendenti (reclutati sia dentro che fuori l’esecutivo comunitario). Può contare su un congruo bilancio annuo: un miliardo di euro. HERA è nata sulla falsariga dell’agenzia federale americana BARDA (il cui acronimo sta per Biomedical Advanced Research and Development Authority). In luglio, il nuovo organismo europeo ha individuato le tre principali minacce sanitarie del momento: eventuali nuove epidemie virali; minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari; e la crescente resistenza dei microbi agli antibiotici. Nei tre campi, il compito di HERA è di promuovere l’analisi e la ricerca, stilare una lista di contromisure, assicurare una preparazione minima dell’Unione e dei paesi membri, con l’acquisto tra le altre cose di materiale e medicinali. «Ci dobbiamo preparare ad affrontare molte più crisi sanitarie che in passato – avverte il nostro interlocutore –. Tra le altre cose, il cambiamento climatico sta modificando il quadro sanitario. Stanno emergendo malattie prima inesistenti». Sul fronte nucleare e chimico, lo sguardo corre alla guerra in Ucraina e ai recenti e preoccupanti avvertimenti del Cremlino. Sul versante degli antibiotici, l’emergenza non è banale: ogni anno nel mondo 1,3 milioni di persone muoiono per via di una resistenza dei farmaci ai batteri. Il tentativo della Commissione europea è di creare una unione della salute dopo che la pandemia da coronavirus ha mostrato i limiti di lasciare la competenza sanitaria solo in mani nazionali. Non è intenzione del nuovo ente diventare la centrale d’acquisto dei medicinali a livello europeo. Il compito di HERA è di coordinare il lavoro dei paesi membri e accentrare nel caso la reazione nei momenti di emergenza, come nel caso del vaccino contro il vaiolo della scimmia. «Quando scoppiò la pandemia da Covid-19, la Commissione europea si è incaricata di negoziare con le case farmaceutiche, ma l’acquisto vero e proprio dei vaccini fu fatto dai governi – prosegue ancora Pierre Delsaux -. Nel caso del vaiolo delle scimmie, per la prima volta HERA ha acquistato i medicinali con il proprio bilancio e li ha distribuiti ai paesi membri. In tutto 334mila confezioni in 24 paesi su 27. Il negoziato è durato appena tre settimane e per noi è stato un vero successo». Nel contempo l’organismo europeo ha anche acquistato farmaci per il trattamento contro questa specifica malattia. Il dirigente di HERA è convinto che senza l’intervento dell’organismo comunitario «la maggior parte dei paesi sarebbe rimasto senza vaccini». Perché? «Prima di tutto perché il produttore è uno solo e il prodotto è molto costoso. In secondo luogo, perché per le case farmaceutiche è molto più comodo trattare con un solo interlocutore». HERA ha potuto agire in modo così veloce e flessibile perché l’organismo è una entità della Commissione, non una agenzia autonoma (gli iter procedurali sono più semplici). Sul fronte della pandemia da Covid-19 (in molti paesi europei è attualmente in corso la campagna di vaccinazione della quarta dose), sono stati distribuiti attraverso i 27 Stati membri dell’Unione europea 1,3 miliardi di dosi. Nel frattempo, l’Europa ha prodotto in tutto 4,2 miliardi di dosi, due terzi delle quali sono state esportate. «Di queste dosi, 500 milioni sono state donate», conclude il direttore di HERA, notando che la Ue «non ha chiuso le proprie frontiere», anzi ha assicurato la cooperazione internazionale.

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