STUPIDA RAZZA

martedì 20 settembre 2022

«La Cina dominerà anche nel riciclo dei vecchi impianti»

Giovanni Brussato, ingegnere minerario, è uno dei maggiori studiosi delle fonti alternative a cui ha dedicato un libro: Energia verde? Prepariamoci a scavare. I c o sti ambientali e sociali delle energie green (M ontaon da e d i to re ) . Quale è la vita media di un impianto fotovoltaico? «Per gli attuali impianti circa 20-25 anni, ma i sostenitori di queste fonti ritengono che i nuovi modelli possono durare più a lungo». Considerando che questa tecnologia ha circa una ventina d’anni di storia, gli impianti si avvicinano alla p e n s io n e? «Sì, sta già accadendo in Cina, che ha il massimo impiego di queste fonti rinnovabili. Dispone di 328 gigawatt di potenza eolica e 306 gigawatt di fotovoltaico installati a inizio 2000. Uno degli obiettivi di Pechino è aumentare in misura consistente la sua capacità per raggiungere la neutralità carbonica in breve. Siccome gli impianti hanno una ventina di anni, sta cominciando il processo di dismissione che crescerà progressivamente. Entro il 2025 dovranno ritirare 1,2 gigawatt di turbine eoliche ed entro il 2040 280 gigawatt di impianti eolici e 250 di fotovolta ic o » . Quanti sono i pannelli solari in via di dismissione? «Secondo il Dipartimento de ll’energia Usa, per produrre un gigawatt sono necessari 3 milioni di pannelli solari. Quindi abbiamo 750 milioni di impianti fotovoltaici da pensionare entro il 2040». E in Europa? «Germania e Paesi del Nord hanno la maggiore potenza prodotta, ma a livelli nettamente inferiori a quelli cinesi. In Italia le prime installazioni risalgono al 2008, quando arrivarono i primi grossi incentivi per le rinnovabili. Le dismissioni di grandi numeri si avranno a partire dal 2025- 2030». A che punto siamo con la te c n o logia per il trattamento di questo tipo di r i f iuti ? «Questi pannelli non sono progettati per essere riciclati. In Cina stanno cominciando adesso a ipotizzarne il riuso. In gran parte d’Eu - ropa, Italia compresa, vanno trattati come i Raee». Quindi smaltiti come i frigo r i fe r i ? «Non c’è una filiera e non è stata nemmeno pensata, anche perché non c’è ancora un flusso rilevante di pannelli». Vuol dire che finiremo per dipendere da Pechino, oltre che per la produzione, anche per la dismissione degli impianti? «Temo proprio di sì». Come dovrebbero essere trattati c o r retta m e nte ? «Sul riciclo del resto, un’o rgan i zzazione europea, la Pv Cycle, sta studiando il problema. I pannelli contengono metalli che si possono recuperare, come alluminio, rame, argento, piombo e stagno. Ma il processo pirometallurgico per estrarli comporta una forte emissione di anidride carbonica oltre a potenziali altre emissioni pericolose. Se non correttamente smaltiti invece, i metalli possono contaminare il suolo e le falde acquifere. Se bruciati, le fibre di vetro rilasciano sostanze tossiche oltre a una grande quantità di CO2. Nel caso degli impianti sui palazzi, se non c’è la sostituzione con nuovi modelli e il ritiro dei vecchi, c’è il rischio che rimangano abbandonati». Che fine fanno gli impianti eolici non più performanti ? «Per una turbina eolica, il problema principale è nelle pale. Spesso si risolve interra n d o l e » . Un cimitero dell’e ol ic o? «È così. Talvolta, siccome è costoso smontarle, le turbine vengono lasciate nelle campagne. Le pale sono composte da fibre di vetro trattate con resine termoplastiche. L’acciaio contenuto in un impianto può essere riciclato, ma non per fare u n’altra turbina. Il basamento in calcestruzzo armato è lasciato sul posto perché costa troppo rimuoverlo. Servirebbe un monitoraggio su l l ’efficienza degli impianti, ma ancora nessuno si è posto il problema». Non ci sono solo i rifiuti di eolico e fotovoltaico da smaltire. Le batterie delle auto elettriche si sa che fine fa n n o? «Il problema è più complesso. Oggi esse hanno un alto contenuto di nichel, manganese e cobalto, che sono diventati molto costosi. I produttori si stanno orientando versi materiali meno impegnativi e più facili da reperire. Cambiando la chimica della batteria, bisogna cambiare anche la tecnologia di smaltimento. Quella attuale, peraltro ancora allo studio, tra dieci anni rischia di essere superata. Anche nel riciclo, si rischia di sviluppare un sistema di estrazione dei materiali contenuti in una batteria che non sono così utili per produrre nuove batterie, perché se ne useranno altri». Riciclare una batteria produce rifiuti? «Queste batterie attualmente non sono progettate per essere riciclate e i componenti sono tenuti assieme da colle che rendono difficile l’estrazione. Tutto questo obbliga a bruciare le batterie agli ioni di litio ad altissime temperature per recuperare rame, cobalto e nichel. Gli impianti richiedono grossi investimenti economici e devono trattare le emissioni tossiche. C’è anche il processo di lisciviazione chimica praticata in Cina che avviene usando reagenti chimici, acidi aggressivi. Questo processo richiede meno energia e capitali inferiori, ma ci si trova a maneggiare rifiuti tossici come gli acidi che vanno smaltiti. Dove sono eliminati è ignoto. Non esiste ancora in Europa un protocollo sulle tecnologie e su come riciclare. Al momento la Cina tende a importare le batterie esauste da altri Paesi». Ci sono già impianti di riciclo e smaltimento di batterie in Italia e in Europa? «Nel settore fotovoltaico attualmente non esiste una filiera dedicata al riciclo perché il flusso di rifiuti non ha ancora dimensioni che la giustifichino, lo stesso si può dire per le batterie delle auto elettriche. Quanto alle turbine, a parte le pale e le fondazioni, si tratta di rifiuti speciali, i cui metalli sicuramente sono riciclabili ma di cui comunque manca la filiera del trattamento, riciclo e, se possibile, riuso in termini economicamente sostenibi l i » .



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