NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
martedì 20 settembre 2022
«La Cina dominerà anche nel riciclo dei vecchi impianti»
Giovanni Brussato, ingegnere minerario, è uno dei
maggiori studiosi delle fonti
alternative a cui ha dedicato
un libro: Energia verde? Prepariamoci a scavare. I c o sti
ambientali e sociali delle
energie green (M ontaon da
e d i to re ) .
Quale è la vita media di un
impianto fotovoltaico?
«Per gli attuali impianti
circa 20-25 anni, ma i sostenitori di queste fonti ritengono che i nuovi modelli possono durare più a lungo».
Considerando che questa
tecnologia ha circa una ventina d’anni di storia, gli impianti si avvicinano alla
p e n s io n e?
«Sì, sta già accadendo in
Cina, che ha il massimo impiego di queste fonti rinnovabili. Dispone di 328 gigawatt di potenza eolica e 306
gigawatt di fotovoltaico installati a inizio 2000. Uno
degli obiettivi di Pechino è
aumentare in misura consistente la sua capacità per
raggiungere la neutralità
carbonica in breve. Siccome
gli impianti hanno una ventina di anni, sta cominciando il processo di dismissione
che crescerà progressivamente. Entro il 2025 dovranno ritirare 1,2 gigawatt di
turbine eoliche ed entro il
2040 280 gigawatt di impianti eolici e 250 di fotovolta ic o » .
Quanti sono i pannelli solari in via di dismissione? «Secondo il Dipartimento
de ll’energia Usa, per produrre un gigawatt sono necessari 3 milioni di pannelli
solari. Quindi abbiamo 750
milioni di impianti fotovoltaici da pensionare entro il
2040».
E in Europa?
«Germania e Paesi del
Nord hanno la maggiore potenza prodotta, ma a livelli
nettamente inferiori a quelli
cinesi. In Italia le prime installazioni risalgono al 2008,
quando arrivarono i primi
grossi incentivi per le rinnovabili. Le dismissioni di
grandi numeri si avranno a
partire dal 2025- 2030».
A che punto siamo con la
te c n o logia per il trattamento di questo tipo di r i f iuti ?
«Questi pannelli non sono
progettati per essere riciclati. In Cina stanno cominciando adesso a ipotizzarne
il riuso. In gran parte d’Eu -
ropa, Italia compresa, vanno
trattati come i Raee».
Quindi smaltiti come i frigo r i fe r i ?
«Non c’è una filiera e non è
stata nemmeno pensata, anche perché non c’è ancora
un flusso rilevante di pannelli».
Vuol dire che finiremo
per dipendere da Pechino,
oltre che per la produzione, anche per la dismissione degli impianti?
«Temo proprio di
sì».
Come dovrebbero essere trattati
c o r retta m e nte ?
«Sul riciclo del
resto, un’o rgan i zzazione europea, la
Pv Cycle, sta studiando il problema. I pannelli contengono metalli
che si possono recuperare,
come alluminio, rame, argento, piombo e stagno. Ma il
processo pirometallurgico
per estrarli comporta una
forte emissione di anidride carbonica oltre a
potenziali altre
emissioni pericolose. Se non correttamente smaltiti invece, i metalli possono contaminare il suolo
e le falde acquifere. Se bruciati, le fibre di vetro rilasciano
sostanze tossiche oltre a una grande
quantità di CO2. Nel caso degli impianti sui palazzi, se
non c’è la sostituzione con
nuovi modelli e il ritiro dei
vecchi, c’è il rischio che rimangano abbandonati».
Che fine fanno gli impianti eolici non più performanti ?
«Per una turbina eolica, il
problema principale è nelle
pale. Spesso si risolve interra n d o l e » .
Un cimitero dell’e ol ic o?
«È così. Talvolta, siccome
è costoso smontarle, le turbine vengono lasciate nelle
campagne. Le pale sono
composte da fibre di vetro
trattate con resine termoplastiche. L’acciaio contenuto in un impianto può essere
riciclato, ma non per fare
u n’altra turbina. Il basamento in calcestruzzo armato è lasciato sul posto perché
costa troppo rimuoverlo.
Servirebbe un monitoraggio
su l l ’efficienza degli impianti, ma ancora nessuno si è
posto il problema».
Non ci sono solo i rifiuti di
eolico e fotovoltaico da
smaltire. Le batterie delle
auto elettriche si sa che fine
fa n n o?
«Il problema è più complesso. Oggi esse hanno un
alto contenuto di nichel,
manganese e cobalto, che sono diventati molto costosi. I
produttori si stanno orientando versi materiali meno
impegnativi e più facili da
reperire. Cambiando la chimica della batteria, bisogna
cambiare anche la tecnologia di smaltimento. Quella
attuale, peraltro ancora allo
studio, tra dieci anni rischia
di essere superata. Anche
nel riciclo, si rischia di sviluppare un sistema di estrazione dei materiali contenuti in una batteria che non
sono così utili per produrre
nuove batterie, perché se ne
useranno altri».
Riciclare una batteria
produce rifiuti?
«Queste batterie attualmente non sono progettate
per essere riciclate e i componenti sono tenuti assieme
da colle che rendono difficile l’estrazione. Tutto questo
obbliga a bruciare le batterie
agli ioni di litio ad altissime
temperature per recuperare
rame, cobalto e nichel. Gli
impianti richiedono grossi
investimenti economici e
devono trattare le emissioni
tossiche. C’è anche il processo di lisciviazione chimica
praticata in Cina che avviene
usando reagenti chimici,
acidi aggressivi. Questo processo richiede meno energia
e capitali inferiori, ma ci si
trova a maneggiare rifiuti
tossici come gli acidi che
vanno smaltiti. Dove sono
eliminati è ignoto. Non esiste ancora in Europa un protocollo sulle tecnologie e su
come riciclare. Al momento
la Cina tende a importare le
batterie esauste da altri Paesi».
Ci sono già impianti di riciclo e smaltimento di batterie in Italia e in Europa?
«Nel settore fotovoltaico
attualmente non esiste una
filiera dedicata al riciclo perché il flusso di rifiuti non ha
ancora dimensioni che la
giustifichino, lo stesso si può
dire per le batterie delle auto
elettriche. Quanto alle turbine, a parte le pale e le fondazioni, si tratta di rifiuti
speciali, i cui metalli sicuramente sono riciclabili
ma di cui comunque
manca la filiera del trattamento, riciclo e, se possibile, riuso in termini
economicamente sostenibi l i » .
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