STUPIDA RAZZA

giovedì 8 settembre 2022

Xi si prepara alla rielezione e mette 65 milioni di cinesi in lockdown

 

I lockdown cinesi sono come gli esami di cui parlava Eduardo De Filippo: non finiscono mai. Se ne sta avendo riscontro in queste ore in cui, mentre l’Occidente è alle prese con criticità economiche e l’Europa con gli allarmi energetici - oltre che con la guerra in Ucraina -, nel gigante asiatico le parole d’ordine restano le stesse da due anni e mezzo a questa parte: fermare il Covid-19. A tutti i costi e con le misure più rigide. Una politica drastica, quella del «zero Covid», la cui applicazione comporta di fatto il blocco di tutte le attività in decine di c i ttà . Questo perché, nell’ott ic a di Pechino, non ci sono varianti del coronavirus più o meno aggressive: tutte, alla sola notizia di un focolaio, vanno stroncate sul nascere. Risultato: a fronte di 103 città nelle quali si segnalano casi di contagi, in un terzo di esse - in 33, per l’esattezza - sono state reintrodotte misure restrittive. Questo ha determinato che ben 65 milioni di persone, un numero più alto della popolazione italiana, siano oggi sottoposte a misure, se non di lockdown, comunque di sem i - l o c kd ow n . Nel complesso, le limitazioni di cui si sta parlando prevedono la chiusura di uffici, scuole, locali di intrattenimento, negozi e servizi non essenziali; conseguentemente, gli impiegati e i dipendenti pubblici sono tenuti a lavorare in smart working e gli studenti seguono le lezioni solo in Dad. In pratica, i soli a restare aperti e attivi sono gli ospedali, dato che perfino alle farmacie è stato ordinato di sospendere la vendita di antibiotici, farmaci antivirali e medicinali per febbre e tosse, mentre studi specialistici e dentistici sono chiusi. Va poi notato come tale strategia non ammetta eccezioni, neppure davanti a eventi eccezionali per gravità. Emblematico in questo il caso di Chengdu, centro metropolitano da 21 milioni di abitanti, i cui abitanti saranno soggetti a pesanti limitazioni almeno fino a mercoledì prossimo; e tutto questo, attenzione, nonostante quella città sia stata colpita da un sisma. E neppure così lieve, tutt’altro, trattandosi d’un terremoto di magnitudo 6.8 che nel Sichuan, secondo quanto gli stessi media di regime sono stati costretti ad ammettere, ha mietuto almeno sette vittime. Neppure una potenziale catastrofe fa desistere Pechino dalla propria linea, portata avanti anche dinnanzi a casi ci contagi assai circoscritti. Basti pensare a quanto accaduto a fine luglio, quando a Wuhan, città divenuta tristemente nota, a livello globale, come l’epicentro da dove la pandemia si è originata, è stato introdotto un lockdown che ha blindato nelle abitazioni un milione di persone, i residenti del quartiere di Jiangxia, a fronte non solo di appena quattro casi di contagio, ma per giunta riscontrati in soggetti del tutto asintomatici. Tutto ciò, ovviamente, è comprensibile solo ricordando come in Cina le istituzioni siano governate da un regime che guarda alle libertà non già come prerogative dell’indivi - duo, bensì come concessioni; e che come tali, all’occorren - za, possono essere serenamente revocate. Il fatto stesso che oggi 65 milioni di cinesi siano soggetti a restrizioni, a ben vedere, risponde a mere esigenze partitiche. Il prossimo 16 ottobre, infatti, avrà luogo il XX congresso del Partito comunista, che dovrebbe confermare alla presidenza Xi J i n pi n g per il terzo mandato consecutivo. Manca oltre un mese, ma Pechino vuole confezionare, a colpi di lockdown, un evento «zero Covid»; anche perché non vede la sospensione dei diritti individuali come un problema.

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