STUPIDA RAZZA

mercoledì 14 settembre 2022

Inflazione, la politica monetaria non basta

 

Funzionerà la ricetta della Bce?

L’istituto di Francoforte - seguendo

la Fed - ha deciso di alzare rapidamente i tassi: 50 punti base a luglio,

75 a settembre, poi ancora per altri

tre o quattro meeting. Se dovesse

alzare i tassi di 50 punti a ottobre e

poi di 25 punti nei due consigli successivi - l’ipotesi meno aggressiva

- il tasso di riferimento passerà al

2,25% che, con aspettative di inflazione vicine al due%, è pari grosso

modo a un tasso reale dello 0,25%.

Non moltissimo, in realtà. La

curva dei rendimenti – il “pavimento” de i tassi di mercato – sta però

salendo rapidamente. È proprio

questo che la Bce vuole: un raffreddamento della domanda che riduca

le pressioni inflazionistiche legate

alla domanda. Le proiezioni di settembre indicano un'inflazione media annua in calo al 2,4% nel 2024,

dal 5,5% del 2023 e dall'8,1% di

quest'anno, con un pil che, tra due

anni riprenderà a crescere dopo un

forte rallentamento. Il “prezzo” da

pagare è un rialzo della disoccupazione, che dovrà passare dal 6,7% di

quest'anno al 6,9% del prossimo, al

7% del 2024. Il messaggio è chiaro:

l’inflazione scenderà, la disoccupazione salirà.

 La politica monetaria, si dice,

funziona così. Come la Fed, la Bce

immagina di evitare la recessione e

di pagare un prezzo limitato; con

tempi lunghi. Qualcosa però accade

subito, e potrebbe contrastare i piani della banca centrale. Il rialzo dei

tassi aumenta il costo del debito.

Per le aziende – e questo aumento

dei costi sarebbe compatibile con

l’obiettivo del “raffreddamento”

dell'economia – ma anche per gli

Stati. Sui Governi ricade allora una

scelta importante: come finanziare

le maggiori spese? Indebitandosi

ancora di più, contando sul fatto

che con tassi più alti aumenta anche

la domanda degli investitori? Oppure diminuendo il deficit (o aumentando il surplus) primario?

È una scelta importante. Perché un maggior debito tenderà a

causare un aumento dell'inflazione, che nel secondo caso potrebbe

davvero scendere. Non a caso la

Bce, nelle sue proiezioni, immagina un peggioramento del saldo

primario di Eurolandia nel 2023 –

sarà ovunque inevitabile proteggere i più deboli dai rincari – ma

un pareggio per il 2024.

È un punto cruciale. Perché

l’aiuto della politica fiscale può far

sì che l’economia non debba passare per una recessione per raffreddare i prezzi. «Non vedo nessun

motivo razionale per creare una recessione per portare temporaneamente l’inflazione verso il basso»,

spiegava nel suo blog – e in una ricerca di fine 2021 _ David Andolfatto, della Fed di St. Louis, riferendosi

all’analoga situazione negli Usa.

Non è un’invocazione di austerità fiscale: l’obiettivo è evitare una

recessione. Si sottolinea piuttosto

un altro canale della politica monetaria. La formulazione di questa

idea risale al 1981, nel lavoro Some

unpleasant monetarist Arithmetic di

Neil Wallace e Thomas Sargent,

premio Nobel 2011. Ad agosto, la

stessa idea è stata riproposta da due

economisti italiani, Francesco

Bianchi e Leonardo Melosi, al simposio di Jackson Hole.

Quando Paul Volcker alzò i tassi

per contenere l'inflazione ebbe, del

resto, il sostegno dell’Amministrazione Reagan la quale nel 1981 tagliò le tasse, ma nel 1982 e nel 1983

le alzò di nuovo, e non di poco...

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