STUPIDA RAZZA

venerdì 16 settembre 2022

Debito globale in calo, ma è una illusione ottica effetto del super dollaro

 

Sembra meno imponente la montagna del debito globale. Nel secondo trimestre del 2022 la sua altezza, misurata dal Global Debt Monitor pubblicato ieri dall’International Institute of Finance (Iif), è infatti diminuita di 5.500 miliardi di dollari per attestarsi comunque ancora poco sopra 300 trilioni. È la prima contrazione da quasi quattro anni, ma rischia di trattarsi almeno in parte di un’illusione ottica. Il valore dei debiti contratti nelle diverse aree del mondo viene infatti tradotto in dollari, una divisa nei confronti dei quali le altre del G10 si sono per esempio svalutate di oltre il 12% quest’anno. Esiste quindi un innegabile effetto valuta in quel dato, prova ne sia che gli Stati Uniti sono l’unico Paese avanzato (oltre al Canada) che ha sperimentato un ulteriore aumento del debito, passato in tre mesi da 85,2 a quasi 87 migliaia di miliardi. Anche se va detto che un passo indietro nella creazione di nuovo debito c’è effettivamente stata: il rapido aumento dei tassi, unito alla minore propensione al rischio degli investitori, ha finito per tenere molti emittenti lontani dai mercati primari. Il risultato, segnala Iif, è un livello di emissioni societarie ridotto ai minimi dal 2014, mentre nei primi 8 mesi del 2022 quelle di titoli di Stato sono state di circa il 20% inferiori allo stesso periodo dello scorso anno. L’anomalia si ripresenta tuttavia con maggiore evidenza quando si considera che l’indebitamento è in realtà di nuovo cresciuto a confronto con il Pil globale, mettendo così fine a un periodo virtuoso di riduzione che si protraeva dai trimestri successivi allo scoppio della pandemia. Il rapporto si è di nuovo avvicinato al 350% e la sua corsa non pare destinata ad arrestarsi: «Con tassi più elevati che continuano a sconvolgere i piani di finanziamento di molte aziende e consumatori, le preoccupazioni per un rapido rallentamento della crescita, in particolare in Cina ed Europa, le crescenti tensioni sociali dovute all’aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari richiederanno probabilmente maggiori prestiti da parte di Governi e imprese statali per attutire l’impatto del rallentamento economico», avverte Iif, prevedendo che il rapporto debito/Pil globale raggiunga il 352% entro la fine del 2022. Evidente come, sotto questo aspetto, l’inflazione spesso definita «amica dei debitori» perché in grado di abbattere anche lo stesso valore reale del capitale residuo non sia nella situazione attuale in grado di fare la differenza, stretta come è nella morsa di tassi in forte aumento e crescita economica in brusca frenata. I guai maggiori, a tal proposito, sono a carico dei Paesi emergenti, che secondo il Global Debt Monitor rappresentano al momento l’area più vulnerabile: nell’ultimo trimestre hanno ridotto di appena 600 milioni a circa 99 trilioni di dollari il debito e al tempo stesso visto aumentare più rapidamente che altrove (+3,5%) il rapporto debito/Pil, che adesso supera il 252 per cento. Per le aree non avanzate appaiono problemi addirittura maggiori all’orizzonte: «Con l’aumento dell’inflazione e la forza del dollaro che minano l’affidabilità creditizia di molti debitori - osserva Iif - le disparità nel- l’accesso al mercato sono diventate più marcate». Da inizio anno i Governi dei Paesi emergenti hanno del resto raccolto sui mercati circa 60 miliardi di dollari contro gli oltre 105 miliardi dello stesso periodo del 2021, mentre al tempo stesso gli spread obbligazionari in dollari degli emittenti high-yield hanno già superato i valori raggiunti al culmine della crisi Covid. Per alcuni di essi il pericolo è di ripercorre le orme di Sri Lanka e Ghana, costretti negli ultimi mesi a chiedere il sostegno del Fmi. L’attenzione viene in questo caso puntata soprattutto su quei Paesi che attraversano una grave crisi alimentare esacerbata dagli ulteriori problemi causati dal conflitto fra Russia e Ucraina. Gli analisti di Iif segnalano come 16 su 35 di questi siano già ad alto rischio di sofferenza sul debito accumulato in quantità significativa soprattutto nell’ultimo decennio. «Circa la metà dei prestiti ufficiali verso questi paesi è a condizioni agevolate, ma la maggior parte è in dollari e questa dipendenza dall’estero lascia molti debitori sovrani altamente esposti alle variazioni del cambio», mette in guardia Iif. L’Italia, infine, vede da parte sua ridursi nel secondo trimestre il debito complessivo di circa il 6% a poco più di 6mila miliardi di dollari, riportando così le lancette indietro al periodo pre-pandemia con progressi di rilievo in tutte le aree considerate: Stato, famiglie, banche e imprese. E se pure in questi numeri appare evidente l’impatto valutario, vale però la pena di notare come anche rispetto al Pil il «fardello» si sia alleggerito, per un rapporto complessivo sceso al 313,5% dal 321,3% e tornato quindi sui livelli del marzo 2020. Segnali promettenti in vista però di un futuro denso di nubi grigie, come per tutta l’Europa.

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