STUPIDA RAZZA

martedì 20 settembre 2022

Macché transizione ecologica Curate il territorio

 

n I fondi per la messa in sicurezza dei fiumi delle Marche erano stati stanziati da 34 anni. Eppure nessuno li ha usati. Anziché prendersela con il cambiamento climatico e cercare di pensare a come sarà il futuro a emissioni zero, preoccupiamoci di curare il territorio.  Capisco che parlare di foglie che intasano i canali, alberi da curare, sottoboschi (non politici, ma naturali) da manutenere, corsi d’acqua di vario genere: letti di canali, torrenti, rivoli e fiumi da curare, canali di sfogo e invasi da costruire, ebbene che tutto questo possa sembrare parlare di poco in confronto alla transizione ecologica e al verbo di Greta e dei suoi appecoronati vari. Vuoi mettere parlare che entro il 2035 non avremo che auto elettriche, che entro il 2959 saremo a emissioni di zero Co2 e che il buco dell’ozono sarà ormai richiuso anzi serrato. Ma permettete un ragionamento più terra terra: Nel frattempo che si richiude il detto buco, non si potrebbe occuparsi di evitare alluvioni, esondazioni e disastri simili? Tipo quello che è successo nelle Marche, che successe in Liguria e a Genova un po’di tempo fa, o in Toscana, o ovunque, praticamente, in Italia? Nelle Marche sono 34 (trentaquattro) anni, non vi siete sbagliati a leggere né io a scrivere, che sono stati stanziati (si dice) i fondi per la sistemazione dei fiumi e la loro «messa in sicurezza». Poi succede quello che è successo e cominciano le solite litanie. «Non deve più succedere». «È uno scandalo». «Basta con questa incuria che provoca danni ingenti, feriti e morti». E banalità di questo genere, soprattutto se dette da chi avrebbe potuto e dovuto fare qualcosa e non lo ha fatto. In 34 anni da Palazzo Chigi ci son passati tutti, ma proprio tutti. Nel frattempo, tutti, ma proprio tutti, hanno parlato del dissesto idrogeologico, ci sono stati terremoti, esondazioni, piene, alluvioni che – in larga parte – non c’entrano una beata mazza col surriscaldamento globale e con il buco in fase di chiusura dell’ozono. Si tratta solo di mancata manutenzione e di mancata costruzione delle opere necessarie perché tutto questo, prevedibile, non accada. Ora la questione è semplice: poiché il tema del dissesto idrogeologico – lo ripetiamo – e quello del cambiamento climatico molto spesso non hanno punti di contatto si dovrebbe procedere velocemente a destinare i famosi 60 miliardi, non tutti e subito, ma partendo dalle situazioni più gravi e prevedibilmente più pericolose e, finalmente, fare, operare, costruire quel che c’è da costruire. Sarebbe anche interessante andare a vedere che fine hanno fatto tutti i soldi che di volta in volta sono stati destinati al dissesto idrogeologico. Vedete, l’alluvione di Firenze, tanto per ricordare qualcosa di scontato, ma non per questo meno vero, avvenne il 4 novembre del 1966 dove di buchi dell’ozono non se ne parlava, ma si parlò di quello che si sarebbe dovuto fare per evitarla. È sempre la stessa storia. Chi dovrebbe fare queste cose si preoccupa di farne altre più visibili: colmare una buca per strada è molto più visibile che occuparsi di pulire un letto di fiume. Non c’è dubbio. Ed è anche più facile e redditizio in termini di raccolta del consenso, ma poi quei feriti, quei morti e quel disastro delle Marche a chi devono chiedere il conto se non a quelli che si sono occupati della buca e non del fiume? Agli stessi. Ce lo siamo chiesti altre volte, anche a proposito di altri temi, come, ad esempio, la sicurezza in certe stazioni ferroviarie delle grandi metropoli italiane: cosa deve succedere perché qualcuno cominci ad interessarsi davvero di questi problemi? Un’altra alluvione di Firenze? Ma basterebbe? Forse no perché dopo quella, a parte sistemare la situazione locale, non ci furono grandi passi in avanti a livello nazionale. Ed infatti oggi siamo sempre qua, a doverci occupare di qualcosa di disastroso e di totalmente inevitabile.

Nessun commento:

Posta un commento