STUPIDA RAZZA

sabato 20 novembre 2021

Q u e st ’isterismo finirà per cacciarci giù dal treno per un colpo di tosse

 

Potrem mo dire bei tempi quelli dei semafori, quelli in cui la fallacia metaforica ancora rispecchiava un mondo tutto sommato ordinato, un mondo in cui d’ac c o rd o c’erano i cattivi, gli ignoranti, quelli con la mentalità «antiscientifica» - e qui la memoria corre al V i tto r io Gassman de I soliti ignoti - ai quali addossare aprioristicamente la colpa di un contagio che sarebbe continuato a causa loro, a causa della loro ostinazione a vivere nel Medioevo, a causa del loro scarso altruismo... ma dall’altra parte c’era l’esercito dei buoni, i quali non solo potevano godere di un presupposto di superiorità morale ma - e qui la metafora del semaforo sembrava perfetta - avevano la giusta ricompensa per la loro rettitudine. Chi rispetta il rosso e si ferma non solo è un buon cittadino, ma non gli succedono incidenti e non ne provoca agli altri; è talmente buono da meritarsi la sua patente-green pass per poter circolare in tutta tranquillità, dove vuole, quando vuole, addirittura, come disse Tommaso Labate su - scitando ilarità, traendo «godimento» dal farsela controllare. Purtroppo, malgrado il materialismo scientifico, la Storia va un p o’ dove le pare e i virus anche; capita dunque che in realtà completamente vaccinate come Islanda, Portogallo o Gibilterra ci sia la classica impennata novembrina di contagi perché un virus influenzale ha questo vizio; Austria e Germania dichiarano la quarta ondata «catastrofica», in Israele hanno fatto la terza dose e stanno programmando la quarta e anche da noi Toti , Fe d r i ga e R ic c i a rd i si sfidano a pensare misure sempre più stringenti, fantasmagoriche e sicuramente efficacissime. Anche le metafore, dunque, devono cambiare e nel discorso pubblico la metafora dominante è ormai quella della guerra, del fronte, del combattimento, delle fucilazioni e dei disertori. Ormai è una guerra e quindi poche storie, niente disfattismi e se anche ti viene detto che con la terza dose sei coperto per cinque anni (A b r ig nani) e il giorno dopo che ci vorrà anche la quarta e la quinta (M ioz zo ) ormai non ci fai più caso stringi i denti e ti ripari in trincea. Addirittura anche i vescovi danno dei disfattisti a quelli che non si vaccinano: chissà se Francesco d’Assisi av rebb e detto la stessa cosa ai lebbrosi incauti. Ma come mai se siamo in guerra e se non vaccinarsi è «disfattismo», i feriti e i morti da vaccino che purtroppo le statistiche ci dicono esserci, vengono negati se non addirittura dileggiati? Che strana guerra quella in cui nemmeno ai caduti o agli invalidi viene tributato un riconoscimento. Il medico che ha detto che non vuole più i mutuati che non si vaccinano, che «li ricuserà», è additato ad esempio positivo mentre nessuno gli ha chiesto se si riferisca ai riottosi per partito preso o anche a quelli che dovrebbero essere esentati per motivi di salute. Ed è in questa ridda di metafore, di contraddizioni e di evidenti incapacità a governare una situazione epidemica che procede ormai da quasi due anni che si assiste ad una fuoriuscita dal dialogo, dal confronto, dalla riflessione, per quanto possibile, razionale sui dati e ci si inoltra nel terreno della criminalizzazione del diverso, della discriminazione, del misconoscimento della dignità altrui e, più di ogni altra cosa, del pensiero caotico. I «lockdown solo per i non vaccinati», i «tamponi che perforano il cervello» (Bu r io n i ), le risatine di Br un etta , i contrordini continui, le contraddizioni palesi, gli stati d’emergenza che diventano perpetui, ci proiettano in una nuova dimensione narrativa: quella di Pinocchio, dell’albero degli zecchini, del gatto e la volpe, della fatina C a pua , del giudice che una volta saputo che a Pinocchio furono rubati gli zecchini d’oro lo fece arrestare, così come quel povero vaccinato con terza dose che se dovesse tossire in treno sarà fatto scendere dal vagone in aperta campagna.

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