STUPIDA RAZZA

lunedì 5 settembre 2022

GAS CHI CI HA MESSO KO

 



Fino a inizio estate molti leader europei, compreso Mario Draghi, quasi deridevano i loro cittadini per le proteste sui disagi del caro energia: «La libertà vale qualche sacrificio», hanno detto all’unisono, convinti che in gioco ci fosse solo un grado in più o in meno di aria fredda o di aria calda. Una sottovalutazione clamorosa degli effetti della guerra economica a Vladimir Putin che tutta la Ue ha scatenato con le sanzioni all’indomani della invasione della Ucraina. Gli stessi leader della commissione Ue, e perfino economisti come Christine Lagarde, per mesi hanno sostenuto che l’inflazione sarebbe stata solo di passaggio e non strutturale. Nessuno ha capito i guai in cui stava trascinando i popoli del vecchio Continente e non solo quelli. Ed ora è difficile ripararvi: molte imprese non hanno riaperto il primo settembre, creando problemi ai loro clienti e quasi tutte sono già in grave crisi di liquidità.Ieri mattina dopo averlo incontrato negli studi di Omnibus La7 Paolo Agnelli, presidente di Confimi industria e alla guida dell’omonimo gruppo di alluminio mi spiegava che per il caro bollette sta rimettendoci circa 2 milioni di euro al mese. La possibilità di reggere ancora è limitata a qualche mese, non di più, «e solo», spiegava lui, «perché ho la responsabilità di un gruppo con storia centenaria, che è passato attraverso due guerre mondiali e ogni tipo di crisi economica. E anche perché so che se noi ci fermiamo, non saranno pochi i contraccolpi per tutti i nostri clienti che comprano il nostro alluminio. Vede, nelle nostre zone non hanno riaperto dopo la pausa estiva tre aziende che facevano piombo. E già mi chiamava ieri un industriale che produce pile disperato: senza piombo come le fabbrico?». Questo breve flash sul bergamasco dove lavora Agnelli è la fotografia semplice dell’Italia in questo momento. E non solo dell’Ita - lia. Con questi costi dell’energia non ce la fa a tenere aperti i battenti chi ha bisogno di ciclo continuo per produrre: imprese del ferro, dell’acciaio, dell’alluminio, del piombo e così via. Ma anche del vetro, della ceramica, del legno, delle conserve alimentari e via per un lungo elenco. Si fermano loro e mancando i loro prodotti mandano in crisi la clientela, che somma una difficoltà all’a l tra . LA CATENA È una drammatica catena di Sa nt’Antonio, dove tutto si tiene insieme. Per altro costosa per le finanze pubbliche, e non solo perché così cade rovinosamente il Pil come si togliesse un mattone alla base di una costruzione: per ogni azienda che si ferma bisogna mettere in campo gli ammortizzatori sociali, che hanno un costo pubblico e chissà per quanto. Chi si ferma per altro non pagherà le ultime bollette, e andando avanti così sarà difficile trovare le illusorie montagne di extraprofitti delle aziende energetiche, che di mese in mese vedranno crescere una montagna di NPL energetici: crediti non più esigibili dai clienti piccoli e grandi. Chi riesce ancora ad andare avanti sapendo benissimo di non poterlo fare all’i n f i n i to, paga quelle superbollette con i propri ricavi, con il rischio di entrare assai presto in una drammatica crisi di liquidità che sta già emergendo in buona parte del sistema industriale. Con aziende improvvisamente in crisi per l’energia non c’è un solo istituto bancario disposto a erogare finanziamenti ponte per il pagamento delle loro bollette. Nemmeno fossero attivabili allo scopo i circa 130 miliardi che ancora avanzano dal decreto liquidità di Giuseppe Conte dell’aprile 2020: «Non basta una garanzia statale al 90%», commenta amaramente Agnelli, «le banche non sono disposte a rischiare, e più che rischiare a perdere molto probabilmente nemmeno quel 10 per cento». Quel che abbiamo sotto gli occhi non era difficilissimo da prevedere. Non c’è nulla di più strutturale nella esplosione dell’inflazione che un rincaro - per altro senza fine - dell’energia. Nessuno produce senza energia. Così un banale ristorante si trova una bolletta che lo mette in crisi. Ma non basta quella: perché il fornitore di pasta, quello di carne, quello di pesce, quello di vino che vivono la stessa condizione la trasferiscono almeno in parte sui prezzi dei loro prodotti per restare in piedi. Quindi quel ristoratore deve fare lievitare i prezzi del suo menù o chiudere anche lui i battenti. Eppure abbiamo sentito dire dalle massime istituzioni economiche e finanziarie per mesi che l’inflazione che iniziava a crescere sensibilmente un anno fa non doveva preoccupare perché dovuta solo ai costi dell’energia. Non si era davanti a un aumento “s tr ut - tu ra l e”. Frasi ripetute in diverse occasioni dalla signora che guida la Bce, C h r i s ti n e L a ga rd e, dal sottosegretario al Tesoro Usa, Janet Yellen, dal governatore della Banca di Italia, Ignazio Visco e dalla gran parte dei ministri della commissione europea. Una sola di loro - la Yellen - il primo giugno scorso ha sentito il dovere di scusarsi in una intervista alla Cnn: «Ho sbagliato sulla traiettoria dell’inflazione». Evviva. Ma quel che è accaduto offre uno spaccato desolante sulla qualità delle classi dirigenti che guidano l’Europa e il mondo. Ieri in quella trasmissione tv ho sentito per l’e nne si ma volta un’esponente del Pd, l’eurodeputata Simona Bon a fè, recitare quella che ormai è una litania: «Ci troviamo nei guai perché avete fatto cadere il governo di M a r io D ra g h i , rendendogli impossibile quella soluzione sul price cap europeo al gas che era a portata di mano». Non si può più sentire una sciocchezza così, perché con tutto il rispetto per la persona e la storia del premier italiano uscente, in questi guai ci ha portato esattamente il governo Draghi. E con lui tutti i leader che guidano i paesi europei. Hanno voluto di istinto lanciare tutti noi in una guerra economica alla Russia per sventolare la bandiera di libertà e l’indignazione per l’invasione dell’Ucraina. Giusto? Nobile? Certo. Ma non si trascinano in guerra popoli dotandoli di fionde rudimentali di fronte ai cannoni del nemico. Perché è esattamente quel che è accaduto e sta purtroppo emergendo: né Draghi, né Ursula von der Leye n , né Emanuel Macron, né alcun altro leader europeo aveva un piano per combattere quella guerra. E manco si sono resi conto delle conseguenze che avevano quelle scelte. Tanto da averle coralmente banalizzate quasi all’unisono. Draghi, il 6 aprile in conferenza stampa: «Preferiamo la pace o il condizionatore acceso? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre». Un mese prima l'Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell si era lanciato in un romantico «Abbassate i riscaldamenti delle vostre case per ridurre la dipendenza europea». Il 9 marzo Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, aveva annunciato a Strasburgo: «Abbiamo abbassato di un grado il riscaldamento nell’edificio del Parlamento eu ro p e o. LA DEMOCRAZIA La libertà e la democrazia hanno un costo. L’Ue deve dimostrare solidarietà ma non solo nei confronti dell’Uc ra i - na ma anche nel far capire ai suoi cittadini quali costi ci saranno da pagare». Queste sono le classi dirigenti che ci troviamo. Non avevano alcun piano per affrontare la guerra in cui hanno trascinato milioni di europei e invece di spaccarsi la testa e trovare immediate riparazioni alla loro irresponsabilità si mettevano pure a deridere i popoli mandati allo sbaraglio come fossero bamboccioni: «Ma come, non sapete per la libertà rinunciare a un po’ di freddo o di caldo in più?». Sfottò e manco un passo per limitare le conseguenze di quello che avevano fatto. È del 9 marzo la lettera del premier greco alla Commissione europea che chiede un price cap continentale al gas. Non era manco una idea di Draghi, che sul tema si è svegliato una ventina di giorni dopo. Magari non funziona nemmeno quello, ma è possibile avere perso mesi così rinviando di riunione in riunion e?

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