STUPIDA RAZZA

domenica 4 settembre 2022

Non basta la trasparenza a costruire una democrazia

 

Se pensi alla caduta del c omun is mo, del mondo bipolare e alla nascita del nuovo ordine mondiale, fino all’apoteosi della globalizzazione, tre nomi ti sovvengono di fila, come collegati in una sola sequenza negli anni ottanta: Ronald Reagan, Giovanni Paolo II e Michail Gorbaciov, che sopravvisse   a entrambi e a differenza loro ricevette il Premio Nobel per la Pace. Poco amato se non detestato in Russia, famoso, celebrato e ricercato in Occidente, G o r bac iov fu considerato il commissario liquidatore del comunismo e dell’Unione sovietica, colui che aprì la Russia al mondo globale, inteso come Occidente; e alla società aperta, senza le antiche chiusure del mondo russo. Non a caso in Occidente presero a chiamarlo amichevolmente G o r by. In realtà, all’inizio, Gorbac iov pensava di riformare il socialismo restandone all’interno, di svecchiarlo e renderlo più compatibile con i tempi, come aveva fatto Lenin dopo la Rivoluzione russa; ma la sua riforma cadde fuori dal socialismo e finì con l’abbattere il sistema in cui l’Urss era imbalsamato ormai da 70 anni. Gorbac iov non voleva rinnegare Lenin, ma aggiornare il comunismo e liberarlo da quella gerontocrazia ormai rigida e cadaverica che si era aperta con l’era Brez n ev e che era continuata oltre And ro p ov fino a C e r n e n ko. Ma quando un regime perde l’anima e la spinta propulsiva, si riduce ad apparato sclerotico e a scheletro senza sangue, basta un movimento, una riforma per rompergli il femore e far cadere tutta l’impalcatura. Così accadde all’Urss di G o r bac iov e tanti in Russia non vissero quella liberazione come una vittoria ma come un crollo, una sconfitta, la perdita di un mondo e di una solida struttura, e il decadere della Russia al rango di potenza secondaria, di Paese in difficoltà, presto invaso dall’Occidente. Chi ritiene che sia la Russia di Puti n a osteggiare la sua celebrazione, compie forse in malafede un errore storico e un rovesciamento di sequenza. L’ostilità della gente verso G o r ba - c iov precede l’avvento di Pu - ti n , sorge in Russia già nel tempo in cui lui era al potere, e ne decretò il declino anche in termini di consensi. Semmai è vero l’i nve r s o: il consenso a Puti n e la posizione da lui assunta è una reazione a G o r bac iov e al rango a cui aveva ridotto la Russia. Per l’Occidente e per i Paesi sottomessi al Patto di Varsavia il suo ruolo fu benefico; per i russi, invece, è un bilancio più controverso, perché da una parte aprì alla libertà, al mercato e alla democrazia, dall’altra al caos, alla speculazione e alla colonizzazione del suo Paese. Di lui, oltre i numerosi viaggi in Occidente si ricordano soprattutto due parole magiche: gl as no st e p erest ro jka . Venne proprio dalla Russia opaca e misteriosa, anzi dall’Unione sovietica agonizzante, l’ultima apologia mondiale della Trasparenza. La chiamavano glasnost e G o r bac iov la predicava insieme alla perestrojka, che voleva dire ricostruzione, ristrutturazione e che aveva avuto come precedente storico proprio la riforma di Lenin a cinque anni dalla Rivoluzione, per assestarla e per temperarne gli eccessi e le velleità. Quello di G o r ba - c iov fu letto come il tentativo di aprire i portoni degli arcana imperii, di mettere in piazza (Rossa) i segreti del Cremlino, e di aprire la politica sovietica alla cittadinanza russa, nel segno di una timida apertura alla democrazia e alla «modernità». Sappiamo come andò a finire. Dopo G o r bac iov ve n - ne Boris E lts i n , e poi V l ad i - mir Putin che nonostante la glasnost, proveniva proprio dal deep state r u s s o - s ov iet i - co, il mondo oscuro dei servizi segreti. La trasparenza è la premessa alla controllabilità del potere, e dunque alla democrazia. Ma da un verso non basta la trasparenza a fondare una democrazia; e dall’altro non tutto del potere e della politica può essere trasparente. È necessario, inevitabile, salutare perfino, che ci sia una zona interdetta, uno spazio riservato e addirittura segreto, se si vuole preservare l’i nte re s s e generale e il bene comune, oltre quello dello Stato. Non cadiamo nella retorica della trasparenza. Del resto anche le democrazie occidentali, a cominciare dalla democrazia americana, preservano una zona interdetta, segreta, che non è accessibile alla democrazia e ai mass media. Senza dire che trasparenza a volte coincide con banalizzazione, svuotamento, perdita di consistenza, spettacolarizzazione e infine «vetrinizzazione», un fenomeno che alcuni sociologi (penso ad esempio a Va n n i C o d elu p pi ) hanno studiato nell’epoca dei social media globali e del narcisismo di massa. Trasferendo infatti la glasnost sul piano personale si arriva a quella riduzione della vita a vetrina, sul tipo della casa del G ra n d e fratello e dell’e s i bi z io n i s m o social e televisivo. Di quell’esibizionismo da vetrina, frutto della mercificazione e americanizzazione, patì anche l’austera Russia postsovietica e fu il segno della sua d i sg rega z io n e. Infine una facezia e una curiosità. Tanti anni fa pubblicai su una rivista che dirigevo un articolo che ipotizzava l’origine pugliese di G o r bac iov, la cui famiglia sarebbe originaria di Monopoli, come era accaduto ad altri emigrati pugliesi in alcune regioni russe. A supporto di quella tesi, pubblicai la testimonianza di un cittadino di Monopoli, di cognome G o r bac io, che aveva pure una mezza voglia sulla testa e che si riteneva lontano parente del leader russo. Non so che fondamento avesse quella tesi suggestiva, che mi limitavo a riportare, ma era la spia di una considerazione subliminale: non solo per il suo aspetto ma anche per la sua linea politica, G o r bac iov non poteva essere del tutto russo, ma era un po’ occidentale, seppure in versione levantina. 

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