STUPIDA RAZZA

mercoledì 7 settembre 2022

La ragnatela energetica russa parte da Est e arriva in Africa

 

Il 22 febbraio del 2022, due giorni prima che l’esercito di Mosca invadesse l’Ucraina, i manager del colosso energetico russo Lukoil riuscivano a finalizzare un accordo a cui ambivano da tempo: con un versamento di un 1,45 miliardi di dollari completavano l’acquisizione della partecipazione della compagnia Malaysian Petronas nel progetto azero di Shah Deniz. Con quest’operazione la quota di Lukoil passava così dal 10% al 19,99% e la compagnia russa diveniva il secondo maggiore azionista dopo British Petroleum. Lukoil puntava ancora più in alto: voleva acquistare da Petronas una quota del 15,5% per 2,5 miliardi. Ma l’intervento per esercitare i loro diritti di prelazione da parte di Bp e Socar ha ridotto la transazione. Se la cosa fosse accaduta altrove, e in altri tempi, avrebbe potuto avere poco rilievo. D’altronde, l’attivismo delle compagnie energetiche russe all’estero, soprattutto nelle ex Repubbliche sovietiche, non è una novità. Ma vi sono delle circostanze che rendono più che interessante questa acquisizione. Shah Deniz è un giacimento molto grande nelle acque azere del Mar Caspio. Non solo promette ancora moltissimo in termini di volumi da estrarre nei prossimi decenni, ma è anche il campo di gas con cui l’Europa ha appena costruito un cordone ombelicale energetico. Che intende rafforzare nei prossimi anni per contribuire a raggiungere il suo ambizioso obiettivo: affrancarsi una volta per tutte dal giogo energetico russo, rompendo ogni attività di import. Grazie al lungo gasdotto Southern Gas Corridor (Sgc), il gas di Shah Deniz attraversa Georgia, Turchia, Grecia e Albania per approdare sulle coste pugliesi. Nel 2018 è arrivato il primo gas in Turchia, nel 2020 in Italia. Nel Nel 2022 arriveranno sulle nostre coste quasi 12 miliardi di metri cubi. Parte dell gas che l’Europa ambisce ad acquistare dal Mar Caspio per ridurre e poi interrompere le importazioni dalla Russia è dunque estratto da un Consorzio in cui il secondo azionista è una compagnia russa, peraltro sotto sanzioni Usa: la Lukoil La quale, si presume di questi tempi, con i prezzi del gas alle stelle, starà realizzando lauti guadagni. E si presume ne farà ancora di più, considerando l’intesa firmata in luglio tra Bruxelles e Baku per raddoppiare i flussi di gas dal Corridoio Sud verso l’Europa entro il 2027. L’Azerbaijan, Paese che da alcuni anni ha compiuto passi di avvicinamento all’Ue, è un esempio paradigmatico della ragnatela energetica costruita nel corso degli anni dalla Russia fuori dai propri confini. Per 29 lunghi anni, fino allo scorso 21 aprile, il presidente della Lukoil è stato Vagit Alekperov. Un oligarca con un patrimonio di 23 miliardi di dollari (Fonte Bloomberg), e un passato da viceministro del petrolio e del gas dell’Urss. Fino a prima che scoppiasse la guerra, Alekperov, 72 anni, di origini azere, era considerato vicino a Vladimir Putin. Tanto da non esitare a definire gli obiettivi della Lukoil allineati a quelli del Cremlino. I suoi appelli al governo russo affinché mettesse fine al conflitto in Ucraina, e le successive dimissioni rassegnate il 21 aprile scorso, sono una vicenda ancora da chiarire. Ma ciò non toglie che Lukoil, la seconda compagnia mondiale per riserve petrolifere, spesso ha perseguito anche gli interessi del Cremlino. Le compagnie russe sono ancora molto attive nei settori energetici dei Paesi vicini a cui l’Europa non può non guardare con interesse. Sempre in Azerbaijan Lukoil è anche azionista, con una quota del 10%, del South Caucasus Pipeline, la sezione più orientale del Southern Gas Corridor (le altre due sono Tanap e Tap). Lukoil detiene inoltre una quota del 15,99% (terzo azionista) anche nella Azerbaijan Gas Supply Company Limited (Agsc), la compagnia deputata a spedire e vendere il gas destinato all’Europa tramite il Corridoio Sud (Sgc). La società russa non si è fermata qui. Nel 2021, infatti, ha comprato da Bp una partecipazione del 25% nel progetto di esplorazione della penisola di Absheron Shallow Water. A conferma di come lo sguardo energetico del Cremlino punti ancora al futuro. Non solo l’Azerbaijan, tutto il Caspio è un’area dalle grandi potenzialità energetiche. Khazakistan e Turkmenistan sono già due realtà produttive, per quanto in parte da sfruttare. Ma su questo Mare chiuso si affaccia anche l’Iran, Paese con delle potenzialità enormi nel settore del gas. Il Cremlino ha sempre cercato di avere il controllo sul commercio del gas estratto in Turkmenistan, uno dei Paesi più isolati al mondo che detiene le quarte riserve mondiali. Le ragioni sono intuibili: non voleva che lo vendesse per suo conto verso Occidente, in Europa. Agli occhi di Mosca si tratta pur sempre del suo cortile di casa. Nel gennaio del 2021 era già accaduto qualcosa che non poteva passare inosservato. Dopo 30 anni di dispute, Azerbaijan e Turkmenistan, Paesi che non avevano relazioni idilliache, hanno annunciato di aver trovato un’intesa per lo sviluppo congiunto del giacimento di Dostluk, al confine dei rispettivi settori del Mar Caspio. Nello stesso periodo Alekperov era volato alla volta di Ashgabat per discutere con il presidente Gurbanguly Berdymukhamenov opzioni di investimento per Lukoil anche, pare, sullo stesso giacimento in questione. E partecipare così allo sforzo congiunto dell’Azerbaijan e del Turkmenistan. Per unire il giacimento ai gasdotti azeri ci vorrebbero meno di 300 km di tubi sottomarini. Dal 2010 il Turkemenistan esporta 40 miliardi di metri cubi di gas verso la Cina. Nel 2021 la Russia ha raddoppiato i suoi acquisti da questo Paese (10 miliardi di m3) per poi rivendere il gas in Europa, attraverso i suoi gasdotti. Insomma, quando si parla di Occidente, Mosca vuole avere l’ultima parola. E in ogni caso vuole essere presente nei settori energetici delle sue ex repubbliche. Come una grande ragnatela, le compagnie energetiche russe si sono espanse in molti Paesi. Nell’ultimo decennio soprattutto in Africa. Gazpromneft, Rosneft e Lukoil hanno firmato memorandum e contratti nel settore degli idrocarburi in tutto il continente: dall’Algeria, all’Angola passando per Nigeria e Mozambico. Partecipando a consorzi per l’esplorazione e l’estrazione di blocchi, ma anche approfondendo accordi energetici nel settore della raffinazione e delle infrastrutture. In Algeria, Paese divenuto il nostro primo fornitore di gas, Gazprom, Transneft e Stroytransgaz hanno contratti in essere e in divenire, con la compagnia di stato algerina Sonatrach relativi ad alcuni blocchi. Con partecipazioni incrociate, come in Algeria, le major russe dividono inoltre i rischi dell’investimento, consolidando i rapporti commerciali e politici in aree strategiche. L’Africa è il continente a cui l’Europa guarda con grande speranza per diversificare i suoi approvvigionamenti energetici. Ma la concorrenza sarà serrata. E non solo da parte della Cina. Solo per far qualche esempio già nel 2014, Lukoil è entrata in progetti energetici in Ghana e in Camerun. Grazie ai suoi legami con il Governo locale, anche nel Congo Brazzaville. Dove, quasi per ironia, si troverà ad operare in partnership con Eni su un promettente giacimento di gas da cui l’Italia si attende di importare gas naturale liquefatto e ridurre così la dipendenza dalla Russia. Ecco perché pensare di sottrarsi a questa ragnatela energetica russa sarà un’operazione lunga, complessa, e probabilmente molto costosa.

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