STUPIDA RAZZA

venerdì 2 settembre 2022

Pechino spende 210 miliardi $ l’anno per controllare il popolo

 

Macao, luglio 2017. Il bancomat del Casinò Venetian è insolitamente deserto perché proprio lì, in quel cluster vocato al lavaggio di denaro sporco, il Governo cinese ha appena iniziato a testare il riconoscimento facciale. Un deterrente molto efficace, tanto è vero che pochi giorni dopo la polizia del vicino GuangDong avrebbe smantellato una vasta rete di banche fantasma che prelevava fiumi di dollari di Hong Kong da conti in yuan. Tecnica talmente invasiva che da allora in poi strumenti come il riconoscimento facciale o la videosorveglianza attraverso i device più sofisticati sono diventati mezzi di ordinaria amministrazione per il controllo interno, la difesa della sicurezza nazionale e, anche, per potenziare l’export di tecnologie ibride, civili e militari che Pechino ha piazzato in mezzo mondo. Non è un caso se sul versante interno la spesa cinese per la sicurezza pubblica nell’ultimo decennio sia più che raddoppiata raggiungendo i 210 miliardi di dollari nel 2020: un esborso superiore del 7% alla spesa dichiarata per la difesa. Nell’ultimo Work Paper del premier Li Keqiang approvato dalla Plenaria del Parlamento cinese l’aumento legato alle forze armate e ai costi del mantenimento della macchina bellica è stato da record, pari al 7,1 per cento, ma comunque al di sotto di quanto speso per il controllare la popolazione con i sistemi di riconoscimento facciale. L’ossessione della sicurezza dei dati non è venuta meno, anzi. Cinque anni dopo i bancomat di Macao l’autorità per la Cybersecurity, nel frattempo potenziata grazie a una legislazione molto severa, ha messo le mani sui preziosissimi algoritmi che le società cinesi tecnologicamente più avanzate e più internazionalizzate custodivano come il più prezioso dei tesori. Ma è sul fronte delle nuove tecnologie a doppio uso, civile e militare, che la Cina rischia di più. Grazie al l’escamotage di dual use sofisticati sistemi di controllo made in China come Hikvision, sono stati esportati e,poi, anche bloccati perché sospettati di essere utilizzati per scopi non civili, ma militari. Per questa ragione decine di società cinesi sono finite nella famigerata black list del presidente americano Donald Trump perfezionata in seguito dal suo successore Joe Biden. Per questa stessa ragione Nvidia - si veda l’articolo in pagina - non fornirà più i suoi sofisticati chip necessari a far funzionare la complessa macchina del controllo cinese. Sempre la videosorveglianza è alla base delle accuse mosse alla Cina sul nervo scoperto dello Xinjiang, la regione più occidentale e più vasta della Repubblica popolare cinese popolata da 25 milioni di abitanti, di cui circa 13 milioni di etnia uigura. L’Onu ha raccolto «prove credibili» su possibili «gravi violazioni dei diritti umani» commessi dalle autorità cinesi nello Xinjiang. Il rapporto che sintetizza la situazione rimasto bloccato per un anno dalle proteste di Pechino che definisce l’inchiesta una «farsa e calunnia ispirata dagli occidentali», è stato pubblicato a un filo dalla scadenza del mandato dell’Alto commissario per i Diritti umani Michelle Bachelet. Gli esperti delle Nazioni Unite, in un dossier di 48 pagine, accusano i cinesi di aver utilizzato leggi opache e strumenti tecnologici sulla difesa della sicurezza nazionale per scatenare una campagna di repressione contro la minoranza uigura di religione musulmana, istituendo un «sistema di detenzione arbitraria». La macchina della video sorveglianza in Cina è estremamente efficace specie nel controllo sanitario collegato alla gestione della politica zero-Covid, cruciale per il presidente Xi Jinping. Ovviamente, come per i Casinò, le telecamere stradali installate nelle aree residenziali di megalopoli come Shanghai o Shenzhen sono servite a tenere a bada la criminalità, ma molti dubbi ha suscitato l’uso dei dati sanitari da mostrare sui QR code degli smartphone specie rispetto alla nuova legge sulla privacy cinese modellata sulla GDPR europea.

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